Azzardo, a che punto stiamo?

Da metà luglio è diventato operativo il divieto assoluto di pubblicità e sponsorizzazioni, ma la direttiva Agcom lo depotenzia. Eppure si tratta solo di un primo passo di una strategia più complessa con molti ostacoli e una grande lacuna. Le ragioni per una possibile commissione di inchiesta
Ansa

Il divieto di pubblicità dell’azzardo è in vigore in via definitiva dal 15 luglio 2019. Bisognava infatti attendere la scadenza delle ultime concessioni per verificare il rispetto di uno stop definito dal decreto Dignità.

Non si può non riconoscere su questo punto la coerenza del M5S che lo ha posto come premessa di un più vasto piano di riordino della materia nel contratto di governo stipulato con la Lega. Vietare la reclame dell’azzardo, come avviene per il tabacco, sembrava una cosa ovvia e, invece, la proposta non era stata presa neanche in considerazione dal precedente esecutivo, perché si opponeva la necessità di attendere una regolamentazione uniforme a livello europeo.

Si tratta di un primo freno all’incentivazione di massa dell’azzardo che ha investito il nostro Paese negli ultimi 15 anni fino a farlo diventare una caso di studio a livello internazionale.

Le prime direttive emesse dall’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) sembrano mostrare qualche eccezione interpretativa nel linguaggio burocratico, che potrebbero diventare delle vere e proprie brecce dove far entrare di tutto, come ha messo in guardia Maurizio Fiasco su Avvenire e Marco Dotti su Vita.it.

Sono evidenti, inoltre, i segnali di insofferenza che si fanno sentire dal mondo leghista, che vedono il governatore piemontese Alberto Cirio in prima fila nello smontare una delle leggi regionali più efficaci nella regolamentazione dell’offerta di azzardo.

Il conglomerato delle aziende di settore controlla una serie di agenzie informative capaci di offrire un’informazione costante in materia, con tanto di critica alla nuova norma, destinate a provocare delle perdite ad un mercato capace di assicurare occupazione ed entrate certe per le casse erariali. Su tutto si erge, inoltre, il riferimento ad una certa visione liberale che mal si concilia con divieti e imposizioni, ma si affida alla capacità di scelta del singolo.

Il caso azzardo, per chi ha cominciato ad affrontarlo con il movimento Slot Mob, si è rivelato un esemplare esercizio di democrazia economica che trova il suo fondamento nell’articolo 41 della Costituzione, dove si afferma la natura non assoluta della libertà di iniziativa economica privata, dato che «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Si tratta di un principio costantemente sotto attacco non solo nella prassi ma nei ricorrenti tentativi di rimuoverlo o deformarne il significato.

Impedire pubblicità e sponsorizzazioni delle aziende dell’azzardo offre ai media la possibilità di non cedere ai tentativi di persuasione di non affrontare alcuni argomenti perché invisi ai ricchi inserzionisti. È questo il risultato più significativo dell’aver rimosso una fonte di induzione all’azzardo, che è già largamente presente con un’offerta diffusa nei quartieri, dai gratta e vinci alle sale slot e vlt, fino agli insidiosi canali web.

Ma è chiaro che tale limite è solo un primo passo di una strategia coerente con una legge nazionale che non costringa le amministrazioni locali a giocare una difficile battaglia solitaria contro lo stuolo di legali delle multinazionali dell’azzardo, pronti a mobilitarsi contro ogni regolamento comunale che cerchi di porre dei limiti anche blandi sull’orario di apertura e sulla distanza dai luoghi sensibili.

Secondo il contratto di governo, infatti, si prevede di introdurre misure efficaci per assicurare «trasparenza finanziaria per le società dell’azzardo; strategia d’uscita dal machine gambling (Slot machines, videolottery) e forti limitazioni alle forme di azzardo con puntate ripetute; obbligo all’utilizzo di una tessera personale per prevenire l’azzardo minorile; imposizione di limiti di spesa; tracciabilità dei flussi di denaro per contrastare l’evasione fiscale e le infiltrazioni mafiose. È necessaria una migliore regolamentazione del fenomeno, prevedendo il rilascio dell’autorizzazione all’installazione di slot machine e VLT solo in luoghi ben definiti (no bar, distributori ecc), la limitazione negli orari di gioco e l’aumento della distanza minima dai luoghi sensibili (come scuole e centri di aggregazione giovanile)».

Il programma è già scritto e va solo messo in atto, come dovrebbe sapere Alessio Villarosa, sottosegretario all’Economia in quota M5S che ha ricevuto la delega ai “giochi”. Potrebbe chiedere aiuto, ad esempio, al senatore Giovanni Endrizzi, sempre M5S, che in materia è stato sempre molto coerente.

Come è noto, tuttavia, il “governo del cambiamento” non giunge a mettere in discussione l’affidamento dell’offerta di azzardo nelle mani delle grandi società private, come Sisal o Lottomatica, che hanno in concessione una notevole serie di servizi di pubblica utilità.

Una gestione diretta pubblica, responsabile, con finalità disincentivante non è nel programma. Si tratterebbe di uno scontro troppo duro da gestire, ma, in tal modo, resta il meccanismo condizionante dell’azzardo come patologia di uno Stato, che fa dipendere parte delle sue entrate fiscali da questo meccanismo gestito da società interessate a far profitto, raffinando e potenziando continuamente l’offerta.

Il volume dell’idrovora dell’azzardo estrae 108 miliardi di euro (dati 2018) dalle tasche degli italiani per far arrivare 10 miliardi all’erario e una cifra simile alle aziende del settore. Tutto il resto viene restituito “quasi” del tutto con micro vincite che servono a indurre e fidelizzare una massa di utenti a rischio dipendenza, con effetti dirompenti a livello personale e sociale. Ma è quel “quasi”, pur se una possibilità su miliardi, che fa scattare la componente illogica e magica che attrae non solo il disperato con le rate del mutuo scoperte, ma chiunque sperimenti l’umano senso di inappagamento che è dentro di noi.

Sta di fatto che, in poco tempo, il nostro Paese è stato esposto a un fenomeno che non ha la genesi incerta di un virus ignoto, ma è la conseguenza di una strategia pianificata di incentivazione che non ha incontrato mezzi di contrasto efficaci.

Servirebbe una commissione parlamentare d’inchiesta in materia per mettere in luce accordi e collusioni di ogni genere.  Potrebbe partire dalla relazione presentata da Matteo Iori nel 2013 preso un sala della del Senato della Repubblica, riportata integralmente nel testo di Città Nuova “Vite in gioco, oltre la slot economia”.

 

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