Attenzione al virus e non solo

Rischiano di assumere la dimensione di una e vera propria catastrofe gli aspetti umanitari e di sussistenza: una direzione prioritaria nella quale concentrare gli sforzi della cooperazione e della rete sanitaria internazionale
Ebola

Continua a suscitare attenzione e allarme a livello internazionale l’epidemia di malattia da virus Ebola in corso da alcuni mesi nelle regioni equatoriali di Guinea, Liberia, Sierra Leone ed estesa di recente, con un limitato numero di casi, alla Nigeria. L’emergenza sanitaria, riconosciuta come la peggiore epidemia che si ricordi dovuta a questo agente patogeno (la cui identificazione risale soltanto al 1976) alla data odierna ha interessato un totale di 2240 casi, fra sospetti e confermati, responsabili di 1229 decessi. L’alta letalità della malattia, l’assenza di un vaccino protettivo e, nonostante i tentativi di utilizzare sieri sperimentali per la cura dei pazienti, l’indisponibilità di terapie risolutive, rendono ragione dell’allarme che ha interessato i governi e i mezzi di comunicazione di tutto il mondo.

Eppure le informazioni corrette, diffuse dai servizi sanitari e basate su ciò che conosciamo della malattia e delle sue modalità di trasmissione, continuano a porre l’accento sulla scarsa capacità del virus di diffondersi fuori dall’area endemica, dove le condizioni di affollamento, precarietà degli standard igienico-sanitari e drammatica penuria di servizi assistenziali rendono estremamente difficile controllare la malattia. Un virus, quello dell’Ebola, che ha ben poche possibilità di circolare in luoghi dove sono accessibili cibo, vestiti ed  acqua potabile e nei quali si possono mettere in atto le comuni misure di igiene pubblica. Senza contare la difficoltà, per le persone colpite dalla patologia, di affrontare spostamenti e lunghi viaggio (il patogeno, come ribadito anche da un recente comunicato dell’OMS, finalizzato a correggere alcune frequenti distorsioni dei media, non ha la capacità di trasmettersi efficacemente per via aerea).

Ma se i timori di una diffusione internazionale della malattia rimangono infondati, a livello locale la situazione si fa sempre più drammatica: i Governi dei Paesi colpiti hanno messo in atto zone di quarantena intorno alle città dove si sono verificati la maggior parte dei casi. Per affrontare la situazione, l’OMS sta studiando, in collaborazione con il World Food Programme delle Nazioni Unite, le modalità per assicurare cibo e altri rifornimenti ad almeno 1 milione di cittadini che rischiano di rimanere isolati da ogni tipo di assistenza.

Sono proprio gli aspetti umanitari e di sussistenza, che rischiano di assumere la dimensione di una e vera propria catastrofe umanitaria, a rappresentare l’emergenza di sanità pubblica: una direzione prioritaria nella quale concentrare gli sforzi della cooperazione e della rete sanitaria internazionale, fino a questo momento forse troppo concentrata a salvaguardare le frontiere dei singoli Paesi da una minaccia che ha ben poche probabilità di bussare alle nostre porte.

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