Armi vendute conto terzi, il caso Rheinmetall

Bombe prodotte in Italia da una impresa di proprietà tedesca vengono vendute all’Arabia Saudita e usate nella guerra dello Yemen, nonostante che le leggi nazionali impediscano l’esportazione di armamenti in stati coinvolti in guerre. Come è possibile? Un contributo da Neue Stadt

Rwm Italia è una società affiliata del gruppo Rheinmetall con sede a Düsseldorf, Germania. Questa società per azioni ha una lunga storia. È stata fondata nel 1889 per fornire munizioni all’Impero tedesco ai tempi del Kaiser Guglielmo II e del cancelliere Otto von Bismarck. È diventato un importante fornitore di armi per la prima e la seconda guerra mondiale.

Dopo il 1918, con il trattato di Versailles ha dovuto trasformare la produzione per scopi esclusivamente civili. Almeno per qualche anno. Dopo il 1945 gran parte degli impianti in diverse città era distrutto da attacchi aerei. Oggi è un gruppo industriale con più di 23 mila dipendenti distribuiti su circa 80 siti distribuiti in tutti i continenti. Produce, tra l’altro, anche pompe idrauliche, pistoni, monoblocchi e teste dei cilindri per il settore automobilistico mentre è specializzata in quello militare con la produzione di vari veicoli, carri armati, sistemi per la difesa contraerea, armi di medi e grande calibro, munizioni di diverso genere e sistemi di simulazione .

La stessa organizzazione industriale dell’impresa prevede una divisione tra l’area Defence (Difesa), dedicata agli armamenti e quella Automotive legata alla produzione automobilistica. Nel 2017 aveva un fatturato totale di 5.896 miliardi di euro, di cui 3.036 in armamenti e 2.861 nell’altra. Il settore Automotive è quello che cresce di meno. Nel 2014 aveva un fatturato di 2.448 miliardi. È il cosiddetto settore Defence che registra, invece, un forte balzo in avanti dato che nel 2014 il fatturato era “solo” di 2.240 miliardi. I responsabili della Rheinmetall prevedono una decisa crescita ulteriore nei prossimi anni.

Nel consiglio direttivo della società siedono 4 persone, mentre nel consiglio di vigilanza sono presenti 8 rappresentanti dei lavoratori e altri 8 degli azionisti.  Significativa una certa vicinanza tra il governo tedesco e la Rheinmetall: nel maggio 2017 Franz Josef Jung, fino a poco tempo prima parlamentare e, dal 2005 fino 2009, ministro della Difesa, è andato ad occupare un posto nel consiglio di vigilanza. È invece dal 2015 nel consiglio direttivo, Dirk Niebel, ministro per la collaborazione Economica e lo sviluppo (cioè per i Paesi in via di sviluppo) nel successivo governo Merkel (2009-13) .

A metà gennaio del 2018 la Ard, canale televisivo nazionale, ha trasmesso un film documentario di 45 minuti dal titolo eloquente: «Bombe per il mondo. Come la Germania guadagna con le guerre e le crisi».  Entrando nel dettaglio, il sevizio mostra come la Rheinmetall riesce, attraverso fabbriche della Rwm in Sardegna, ad esportare bombe in Arabia Saudita. Cosa che le leggi tedesche come anche quelle italiane proibiscono, perché l’Arabia Saudita è alla guida di una coalizione militare attiva nel conflitto in Yemen. Il problema è che questo divieto vale soltanto per i prodotti esportati dal proprio Paese. Di fatto il governo tedesco non si ritiene responsabile perché le esportazioni procedono dal sito italiano. Allo stesso modo il governo italiano non interviene a fermare il trasporto di armi usando l’argomento della proprietà tedesca dell’impresa esportante. Il commercio della Rheinmetall sarebbe perciò legale grazie alla capacità di utilizzare una lacuna giuridica. Gli autori della trasmissione televisiva mostrano anche l’abilità della Rheinmetall ad usare simili stratagemmi, tramite una società affiliata del Sud Africa, per fornire armi in pronta consegna nei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, a partire proprio dall’Arabia Saudita.

Un Paese che usa le armi per reprimere la popolazione interna o per conflitti armati con altri Paesi. La logica deduzione è che il governo tedesco ha perso qualsiasi possibilità di controllo per valutare un’impresa che vuole presentarsi come eticamente responsabile.

         

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