Armi negli Usa, le lobby non sono invincibili

La grande manifestazione del 24 marzo dimostra la maturazione di un rifiuto crescente dello strapotere della National Rifle Association, l’associazione dei produttori di armi. Ma il nostro Paese, secondo esportatore mondiale di armi cosiddette leggere, non è indenne da una certa cultura della falsa sicurezza. Intervista a Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di difesa e sicurezza di Brescia
Evan Frost/Minnesota Public Radio via AP

Le immagini delle oceaniche ed emozionanti manifestazioni negli Stati Uniti contro la pratica della circolazione indiscriminata delle armi in quel grande Paese hanno offerto il volto di una società che non pare aver smarrito la lezione di Marin Luther King. Di un’epoca, cioè, che continua ad affascinare per il protagonismo di una cittadinanza vigile ad impedire il prevalere di grandi potentati economico finanziari anche con il ricorso alla disobbedienza civile.

Foto Ap
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Un mondo che pare agli antipodi delle scelte di gran parte degli elettori che hanno eletto l’attuale presidente Trump. La persuasione a favore della diffusione di armi micidiali con la scusa di assicurare la difesa personale e della proprietà privata è crescente anche nel nostro Paese, che è tra l’altro il secondo esportatore mondiale di armi cosiddette leggere. Ne parliamo con Giorgio Beretta, uno dei massimi esperti italiani sul campo, ricercatore analista di Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di difesa e sicurezza) di Brescia.

Nonostante la grande partecipazione popolare all’iniziativa dei giovani degli Stati Uniti, la lobby delle armi sembra inscalfibile. Quali sono le radici di tale potere?

Non condivido l’idea che la lobby delle armi negli Stati Uniti sia inscalfibile. Certamente è una lobby non solo insensibile e sorda, ma tenacemente contraria a qualsiasi istanza di controlli e limitazioni sulle armi, ma non per questo è inscalfibile. Innanzitutto, proprio la protesta dei giovani a seguito della strage di Parkland, in Florida dove – non dimentichiamolo – il giovane 19enne Nikolas Cruz ha fatto fuoco, con un fucile semiautomatico AR-15 legalmente acquistato, nel campus del liceo Marjory Stoneman Douglas uccidendo 17 persone e ferendone almeno 14, ha innescato un positivo processo di ripensamento da parte di ampi settori della società civile tra cui anche di vari gruppi di legali detentori di armi.

AP Photo/Josh Edelson
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Che tipo di reazione si è registrata in concreto?

Di forte impatto è stata la decisione da parte di molte aziende e banche di interrompere i rapporti di collaborazione e i privilegi concessi ai soci della National Rifle Association (NRA), la potente lobby delle armi. Ma soprattutto la protesta dei giovani sta ponendo i rappresentanti politici di fronte alle proprie responsabilità: per la prima volta i politici si vedono incalzati a dover dare risposte precise sapendo di essere osservati da chi – e lo hanno detto chiaro – molto presto sarà un elettore. In questo modo la protesta dei ragazzi sta scalfendo proprio i quattro assi su cui la lobby delle armi ha fondato il suo potere: consenso generalizzato, unità dei possessori di armi, rapporti privilegiati con aziende e appoggio politico. E tutto questo sta chiaramente mettendo in difficoltà la NRA che finora non ha saputo far altro che riciclare vecchi slogan del tipo “difendiamo il secondo emendamento”.

AP Photo/Josh Edelson
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Quali sono i rapporti tra la NRA e le aziende produttrici di armi, tra cui la Beretta USA?

Sono rapporti molto stretti e di lungo corso. E’ sufficiente dare un’occhiata alle riviste della NRA per ritrovare articoli e interviste, sempre elogiative, dei rappresentanti delle varie aziende produttrici di armi. Sono però rapporti poco trasparenti: non è un caso che non è facile conoscere i finanziamenti e le donazioni alla NRA da parte delle aziende armiere. Diverse aziende figurano tra i “Friends of NRA” (Amici della NRA), cioè tra i sostenitori: a memoria ricordo la Winchester, Smith & Wesson, Daniel Defence, Mossberg e Savage (produttori, tra l’altro, di fucili semiautomatici tipo AR-15, quelli più usati nelle stragi) e anche Ruger e Sig Sauer. Anche i rapporti e soprattutto i finanziamenti della Beretta USA alla NRA sono poco chiari: è però noto che negli anni scorsi la Beretta USA ha donato alcuni milioni di dollari alla NRA-ILA (la sezione legale della NRA) per sostenerne le attività per “espandere lo scopo del Secondo Emendamento”. Wayne LaPierre, il vIcepresidente esecutivo della NRA, ha ripetutamente affermato che “l’azienda Beretta è leggendaria nel settore ed è un membro importante della NRA” aggiungendo che “il gruppo Beretta e la NRA sono partner naturali quando si tratta di proteggere le nostre libertà del Secondo Emendamento”. Se è questa la posizione della Beretta – e credo lo sia – visto che l’azienda reputa necessaria l’attività di lobby della NRA perché non rende note le sue donazioni? Cos’ha da nascondere?

 

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