Armi invece di pane. Ma la notizia non fa scandalo

Recenti analisi fornite al Congresso Usa confermano l’inondazione delle forniture di armi verso i Paesi in via di sviluppo. Il ruolo dell’Italia.  

A qualcosa servono i centro studi. Quello del Congresso degli Stati Uniti d’America ha appena consegnato un rapporto molto interessante sul valore dell’esportazione di armi nel mondo. Si tratta di dati ufficiali non sottoposti a segreto militare e quindi da considerare inferiori a quelli effettivi.

Come fa notare la scrupolosa analisi del rapporto curata da Giorgio Beretta, di Rete italiana disarmo, l’Italia si conferma tra i primi fornitori di armi, destinate, per di più, in maniera prevalente verso i Paesi in via di sviluppo: 2,4 miliardi di dollari su 2,7 oggetto di accordi commerciali conclusi nel 2009.

 

Il risultato sicuramente contribuirà al Prodotto interno lordo (Pil) nazionale ed è, in maniera evidente, l’esito di una programmazione di lungo periodo. Una strategia condivisa tra le industrie del settore e il settore bancario, senza il quale il grande volume di affari non potrebbe essere raggiunto. Esempio di come funziona il “sistema Paese” quando è determinato a raggiungere certi risultati. Risoluzione che potrebbe essere spesa su altri prodotti e altri mercati. 

 

I 22,6 miliardi di dollari rappresentano il peso della fornitura di armamenti assicurata dagli Usa nel 2009, che continuare ad occupare il vertice mondiale del settore. Seguono, a distanza, sempre in miliardi di dollari, Russia(10,4), Francia (7,4), Germania (3,7). Israele raggiunge quota 2,1 mentre la Cina, che molti vedono come il vero competitore degli Usa nel medio periodo, si attesta ancora, sul valore di 1,7 miliardi del “biglietto verde”. 

 

La produzione italiana conferma una forte penetrazione commerciale nell’area del Medio Oriente. Nel periodo complessivo 2006/2009 ben il 71 per cento dei contratti stipulati con i Paesi in via di sviluppo riguarda questa area a forte rischio di conflitti. Regione che rimane polo di attrazione anche per l’ultima grande fornitura statunitense, da ben 60 miliardi di dollari, assicurata all’Arabia Saudita e registrata come un successo da tutta la stampa economica. Si tratterebbe di un tassello necessario nel grande “Risiko” del Golfo che richiede la dotazione di caccia bombardieri F-15 Silent Eagle, con missili poco visibili dai radar. Altre forniture di caccia ancor più invisibili ( gli F35 che coinvolgono l’Italia) sono destinati, invece, ad altri Paesi alleati ritenuti più affidabili.

 

Una distruzione di ricchezza destinata a scenari di guerra che, oltre il temporaneo smarrimento e disagio, merita ulteriori approfondimenti in tempi di crisi economica e di priorità della politica. Anche se la notizia sembra non fare scandalo.

 

 

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