Armi atomiche in Italia, cambiare è possibile

Sul nostro territorio sono presenti 70 bombe nucleari. Cosa possiamo fare dopo l’ennesima condanna del papa all’uso e al possesso di tali strumenti di morte?  Perché è possibile l’adesione del nostro Paese al trattato internazionale di proibizione alle armi nucleari. Il parere di Francesco Vignarca, coordinatore di Rete italiana disarmo
ANSA FOTO GIORGIO BENVENUTI

«Non solo l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, […] allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche». A Hiroshima questa frase Francesco, come ha scritto Roberto Catalano su cittanuova.it. l’ha pronunciata «a braccio. Non si trova nel testo scritto fatto circolare fra i giornalisti in precedenza».

Non si tratta di una questione formale, ma riguarda direttamente anche il nostro Paese che detiene almeno 70 ordigni nucleari nelle basi Usa di Ghedi, a Brescia, e Aviano, Pordenone. Tra l’altro è anche già prevista, nel 2020, una loro progressiva sostituzione con nuovi modelli, B61-12, adatti ad essere trasportati con i caccia bombardieri F35, commessa ritenuta strategica dal governo che ha rimosso ogni limite al loro acquisto.

Il papa aveva già espresso la condanna anche per il possesso delle armi nucleari durante il simposio sul disarmo integrale che si è tenuto in Vaticano nel novembre 2017.

Poco prima della partenza per il Giappone, Francesco ha ricevuto una delegazione della Campagna internazionale contro le armi nucleari ICAN (Nobel per la Pace 2017) guidata alla direttrice esecutiva Beatrice Fihn che ha ringraziato il papa per il suo impegno a favore del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW). La Santa Sede, infatti, ne è il primo firmatario. Al momento occorrono 17 ratifiche di altrettanti stati per diventare una norma internazionale. La procedura ne prevede, infatti, l’entrata in vigore 90 giorni dopo il deposito del cinquantesimo strumento di ratifica.

Il Trattato afferma che le armi nucleari sono inaccettabili e disumane. È stato votato all’Onu nel luglio 2017 da 122 Paesi. Tra questi non era presente l’Italia, allora guidata dal presidente Paolo Gentiloni, anche se ben 240 parlamentari della passata legislatura hanno firmato l’appello della campagna “Italia ripensaci” a favore della firma e ratifica del trattato internazionale da parte del nostro Paese. Alcuni di quei deputati e senatori sono ancora in carica, alcuni di loro anche con ruoli di primo piano nell’esecutivo del Conte 2. Tra gli altri, Luigi Di Maio, Roberto Fico, Marina Sereni, Lia Quartapelle, Giuseppe Brescia, Manlio Di Stefano, Erasmo Palazzotto, Giuditta Pini, Riccardo Fraccaro, Federico D’Incà, Nicola Fratoianni e Stefano Fassina.

Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana Disarmo, è uno dei protagonisti della campagna Ican e, in tale veste, ha fatto parte della delegazione che ha incontrato papa Francesco e il segretario di Stato Parolin. Abbiamo, perciò, posto a Vignarca una domanda sulla possibilità effettiva di svolta, da parte dell’ Italia, sul trattato di proibizione delle armi nucleari, in considerazione della collocazione internazionale del nostro Paese

È possibile chiedere l’adesione dell’Italia senza affrontare la questione della nostra adesione alla Nato?
Non sono così convinto che le due cose siano collegate (o che dobbiamo essere noi a farlo). Certamente l’appartenenza alla Nato pone l’Italia in una certa posizione e sotto le pressioni dirette degli Stati Uniti e degli alleati per molti aspetti. Ma come la Campagna ICAN ha più volte detto e dimostrato, non c’è incompatibilità diretta ed esplicita tra l’appartenenza alla Nato e l’eventuale sottoscrizione del Trattato di messa al bando delle armi nucleari. Ricordo che Paesi dell’Alleanza come Grecia e Canada avevano ordigni sul proprio territorio che sono stati poi ritirati senza che ciò comportasse una rottura dei patti…

La stessa Nato in tutti i suoi documenti continua a ribadire che un obiettivo proprio dell’alleanza è quello dell’eliminazione delle armi nucleari! La differenza è che la Nato sostiene che eliminerà i propri ordigni solo quando lo faranno anche gli altri… Per cui quantomeno dal punto di vista teorico tutti sono d’accordo sull’obiettivo e la differenza risiede solo nella strada che si pensa più efficace per ottenerlo.

Cosa è opportuno, quindi, fare per far crescere l’adesione dell’Italia al trattato del 2017?
Come detto riterrei un errore, oltre che cosa non vera, collegare i due aspetti anche perché, fondendoli insieme, si potrebbe “inquinare” il dibattito sulle armi nucleari con questioni più ampie e anche meno concretizzabili (per cui meno adatte a coinvolgere i cittadini). Inserire nel dibattito lo spettro della Nato, che evoca fratture di altra natura e posizionamenti politici che vanno ben oltre la questione specifica, lo vedrei davvero un grosso errore: noi dobbiamo sfruttare al massimo il grande sostegno che nell’opinione pubblica c’è all’idea che le armi nucleari debbano essere messe fuori dall’Italia e soprattutto fuori dalla storia.

 

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