Antonio Rosmini: evangelizzare la Chiesa

Il beato A. Rosmini, teologo, filosofo e fondatore dell’Istituto della Carità, è una delle più grandi figure del cattolicesimo italiano dell’Ottocento. Spirito straordinariamente ricco di doti, di tendenze universali, di ingegno vigorosissimo, è autore di una significativa e variegata mole di opere che fu anche contrastata vigorosamente con l’accusa di proporre delle dottrine contrarie alla fede e alla morale. Beatificato il 18 novembre 2007, alla luce dell’apertura verificatasi con il Concilio Vaticano II – di cui fu anticipatore lungimirante di diverse sue intuizioni – ampi e numerosi studi sulla dottrina rosminiana hanno dimostrato la sua armonia con la fede cattolica, così che diverse sue affermazioni, anche a proposito della “riforma” della Chiesa, risultano di sorprendente attualità.
Antonio Rosmini

Se è impossibile riassumere in poche pagine questa grande e complessa figura del cattolicesimo italiano dell’Ottocento, ci sembra utile evidenziare qualche aspetto particolarmente attuale ed interessante della figura di A. Rosmini (Rovereto 1797 – Stresa 1855)[1]. In particolare il suo amore ardente per la Chiesa che lo portò a pubblicare nel 1848 il noto volume Delle cinque piaghe della santa Chiesa, grande esposizione sui pericoli che minacciavano l’unità e la libertà della Chiesa, denunciando con coraggio queste “piaghe” ed indicandone con lucidità i rimedi.

 

Definito da A. Manzoni come “una delle cinque o sei più grandi intelligenze, che l’umanità aveva prodotto a distanza di secoli”, Rosmini fu nel suo tempo un “profeta scomodo” che solo recentemente è stato riscoperto e rivalutato dalla Chiesa, dopo che nel 1994 è stata autorizzata ufficialmente l’apertura della sua causa, conclusasi con la solenne beatificazione avvenuta a Novara il 18 novembre 2007. Papa Giovanni Paolo II concorse particolarmente alla riabilitazione completa della sua figura, parlando di Rosmini nell’enciclica Fides et ratio (1998) come di uno dei pensatori più recenti nei quali si manifesta un “fecondo rapporto tra filosofia e parola di Dio”, così che può essere proposto come esempio significativo “di un cammino di ricerca filosofica che ha tratto considerevoli vantaggi dal confronto con i dati della fede[2].

 

Mons. R. Corti, vescovo di Novara, il 25 maggio 2004 così affermò riguardo a Rosmini: “Adesso arriva il momento in cui Rosmini può diventare un testimone particolarmente autorevole dentro la modernità. È difficile trovare un altro più grande di lui tra i filosofi e gli autori nell’epoca moderna. Dicono che il S. Tommaso degli ultimi secoli è lui. Servirà una conoscenza interiore dei suoi scritti e trovarne il significato che oltrepassa i secoli. Non dimentichiamo mai che lo ha fatto per ubbidienza al Papa Pio VIII[3].

 

Nell’Angelus di domenica 18 novembre 2007, giorno della beatificazione di Rosmini, così infine si è espresso papa Benedetto XVI: “Oggi pomeriggio verrà beatificato a Novara il venerabile Servo di Dio Antonio Rosmini, grande figura di sacerdote e illustre uomo di cultura, animato da fervido amore per Dio e per la Chiesa. Testimoniò la virtù della carità in tutte le sue dimensioni e ad alto livello, ma ciò che lo rese maggiormente noto fu il generoso impegno per quella che egli chiamava ‘carità intellettuale’, vale a dire la riconciliazione della ragione con la fede. .

 

Il suo esempio aiuti la Chiesa, specialmente le comunità ecclesiali italiane, a crescere nella consapevolezza che la luce della ragione umana e quella della Grazia, quando camminano insieme, diventano sorgente di benedizione per la persona umana e per la società[4]

Oltre ad essere dunque ricordato come data della sua beatificazione, il 18 novembre rappresenta anche il giorno in cui il religioso di Rovereto iniziò la stesura della sua opera già citata, considerata precorritrice di vari temi conciliari, ed ovviamente una delle più controverse ed avversate. Per la novità di alcune di queste sue idee sulla riforma della Chiesa, infatti, l’opera di Rosmini fu messa all’indice, nel 1849 con tutte le polemiche che ne seguirono.

 

L’amore alla “Chiesa-Sposa”

 

Consapevole della radicale novità recata dal cristianesimo al tema della ricerca e della scoperta della verità, e dell’ordine e dell’unità che collega tutte le cose, “Massimamente semplice, essenzialmente uno, il principio dell’unità di tutte le cose[5], Rosmini era convinto che è proprio nelle “viscere” della rivelazione cristiana che “si nasconde una filosofia sfolgorante di evidenza e beante gli intelletti per la sua origine divina e perché conduce di nuovo a Dio[6].

 

Per questo il nostro autore si adoperò continuamente ed intensamente in un lavoro intellettuale tutto proteso a far conoscere il Vangelo e la Sapienza che da esso promana, con un animo particolarmente sensibile al grande problema dell’armonia tra fede e ragione. A tale proposito, così come riconosce Giovanni Paolo II, Rosmini “volle prestare attenzione ai pensatori più rinomati nella sua epoca – allora, come oggi, si parlava di nuovo momento della storia e del pensiero – per ricercare i modi sempre più adatti di comunicare la dottrina cristiana agli uomini, specialmente al mondo della cultura e del sapere, favorendo un conveniente aggiornamento del linguaggio e del dialogo[7].

 

Queste considerazioni trovano una loro speciale concretizzazione soprattutto nella meditazione ecclesiologica di Rosmini[8], collegata alla riflessione sul mistero pasquale inteso nella sua completezza: “mentre nella Teodicea la Chiesa di Gesù Cristo appare nella sua dimensione gloriosa, accanto e in continuità con il suo Signore Gesù Cristo, nelle Cinque Piaghe prevale invece l’attenzione a tutto ciò che impedisce alla Chiesa di essere la sposa di Cristo e ne appesantisce il cammino e l’impegno di testimonianza nella storia…

 

Se l’attenta lettura della Teodicea consente di affermare che in quest’opera si tratta di una seria meditazione sulla Chiesa Sposa destinata alla gloria, le Cinque Piaghe sono il luogo in cui trova appassionata e sincera sedimentazione l’amore di Rosmini per la Chiesa crocifissa come il suo Signore. E come la pietas nei confronti del Crocifisso lo porta a ‘piangere la divina Passione’, analogamente le piaghe che sfigurano il corpo della Chiesa provocano la sua com-passione con la Sposa[9].

 

Quando scrive le Cinque piaghe, tra la fine del 1832 e gli inizi del 1833, Rosmini ha quasi trentasei anni, e questa sua opera (il cui manoscritto fu accantonato e poi pubblicato definitivamente solo più di quindici anni dopo) si colloca “in quel tornante del cammino umano del Rosmini in cui sono ormai giunti a maturazione tanto la vocazione intellettuale dello studioso quanto il carisma religioso del fondatore. E questo sembra sufficiente a spiegare la genesi profonda dell’opera, senza voler con ciò sottovalutare talune ragioni più immediate che possono aver sospinto Rosmini a por mano alla stesura di essa: fra le quali rientrano certamente gli ostacoli frapposti dalle autorità politiche, ma conseguentemente anche da quelle religiose, al tentativo di aprire a Trento una casa dell’Istituto della Carità[10].

 

Le cinque piaghe

 

Quali sono, in concreto, le “cinque piaghe”? L’opera offre delle lunghe analisi che integrano le descrizioni di ciascuna delle singole piaghe, secondo una loro concatenazione che fa sì che la precedente trovi la sua causa nella seguente, fino a giungere all’ultima, che a dire del nostro autore, è l’origine prima di tutti i mali. Le piaghe diagnosticate sono cinque, come quelle di Nostro Signore Gesù Cristo, e come quelle sono riferite a diverse parti del corpo della “Chiesa-Sposa”.

La prima piaga, che fece molto soffrire Rosmini, è quella della separazione tra fedeli e clero durante le funzioni liturgiche, per l’impossibilità dei primi di seguire le preghiere formulate in latino, così che il nostro autore avanzò la proposta di seguire le lingue proprie di ogni popolo. Per Rosmini era dunque giunto il tempo di utilizzare la lingua volgare nella liturgia, per scongiurare l’estraneità dei laici dalla liturgia.

 

La seconda piaga è individuata invece nell’insufficiente educazione del clero. Rosmini lo ritiene un male antico, rilevando che i sacerdoti hanno uno scarso nutrimento culturale e spirituale, e mancano del “cibo forte” che è dato dallo studio della Scrittura e dei santi padri, oltre alla conoscenza dei saperi umani.

 

La terza piaga, quella indicata come “del costato”, è la disunione dei vescovi. Rosmini, partendo da un’analisi storica, afferma che dal momento in cui la Chiesa ha dovuto supplire al vuoto di potere civile causato dallo sgretolarsi dell’Impero romano, i Vescovi sono diventati in pratica – attraverso complesse vicende storiche – dei signori feudali, preoccupati di acquisire sempre più potere sia economico che politico, così da innescare divisioni e lotte tra loro, mentre dovrebbero essere invece i primi testimoni e i garanti della comunione ecclesiale.

 

La quarta piaga, collegata direttamente con la precedente, è rappresentata dall’abbandono al potere laicale della nomina dei vescovi. “Questo fatto, – così nota C. Salvetti, commentando il testo rossiniano – mentre conferisce alla Chiesa potenza e prestigio, le toglie la cosa più preziosa, la libertà del Vangelo, e la fa apparire agli occhi dei popoli alleata della politica repressiva degli Stati. Affinché i Vescovi si possano riappropriare della loro specifica vocazione pastorale è dunque necessario che la loro designazione torni nelle mani del Papa e del popolo cristiano: ‘la Chiesa che elegge il proprio Pastore ha un interesse solo, quello delle anime; il principe ne ha molti’[11].

 

La quinta piaga, è individuata nella servitù dei beni ecclesiastici. “Nei confronti di questo delicato e importante aspetto della vita ecclesiale –scrive Salvetti – Rosmini fa osservazioni di grande lucidità e avanza proposte di notevole apertura. Ispirandosi alla prassi della Chiesa primitiva egli sollecita che nell’acquisizione e nella gestione dei beni vengano di nuovo applicate le ‘antiche massime’ basate su criteri di spontaneità nelle donazioni, di gestione ‘democratica’, di trasparenza e vigilanza nei controlli, di giustizia nella distribuzione[12].

 

In Rosmini la dimensione spirituale e ascetica alimenta e illumina costantemente la riflessione teologica, così che egli – come già aveva scritto nella seconda delle sue sei Massime di perfezione cristiana – intese sempre rivolgere tutti i propri pensieri e tutte le proprie azioni “all’incremento e alla gloria della Chiesa di Gesù Cristo[13]. Per il nostro autore, infatti, “il cristiano può dubitare circa qualunque cosa particolare, se Iddio voglia o in questo o in quel modo farla strumento della sua gloria; ma riguardo a tutta la Chiesa di Gesù Cristo, egli non può dubitare, perciocché è certo che essa è stabilita sì come il grande istrumento e il gran mezzo onde Egli sia glorificato innanzi a tutte le creature intelligenti[14].

 

Le “anticipazioni” rosminiane e l’eredità attuale

 

L’espressione “anticipazioni rosminiane” risale al 1983, quando mons. C. Riva aprì a Stresa, con una prolusione dal titolo L’ecclesiologia rosminiana e gli insegnamenti del Vaticano II, il XVII Corso della “Cattedra Rosmini”, mettendo in luce proprio l’intima corrispondenza e sintonia che accomuna l’ecclesiologia di Rosmini e gli insegnamenti del Concilio Vaticano II. Oltre a fornire delle profetiche anticipazioni, si potrebbe dire che il pensatore di Rovereto ci ha consegnato dei veri e propri “presupposti teoretici”.

 

Rosmini non a caso è stato più recentemente indicato come “un modello per l’uomo del terzo millennio”, avendo incarnato il coraggio della ragione proprio in quanto consapevole della forza della verità: “il coraggio della ragione – scrive A.M. Tripodi a proposito del nostro autore –, configurabile come pensare in grande, permette alla fede di: – porre in luce i motivi del proprio darsi, – conoscere il proprio oggetto, – prevenire e rifiutare visioni distorte, – comunicare se stessa. Ne deriva un’accettazione intelligente e consapevole dei dati di Sacra Scrittura, Tradizione, Rivelazione, essenziale per l’opera di evangelizzazione della cultura e di inculturazione della fede e per contrastare la tentazione di fare di Dio il grande Assente nella cultura e nelle coscienze dei popoli[15].

 

Egli ci consegna anzitutto un grande amore, profondamente filiale, alla Chiesa: “Rosmini non si è messo di fronte alla Chiesa per giudicarla dall’alto del proprio perfettismo; piuttosto si è messo accanto e dentro la Chiesa per individuarne con maggiore realismo i mali, formulare con maggior precisione una diagnosi e suggerire, alla luce della vita stessa della Chiesa, una terapia centrata[16].

 

Nelle sue riflessioni egli rimanda continuamente alle origini storiche del cristianesimo e all’intera storia della Chiesa, non per proporne un nostalgico rimando o per ideologizzare figure, vicende o istituzioni, ma nella prospettiva consapevole che “la natura di qualsiasi fenomeno può essere meglio identificata se ci si richiama alla sua genesi, e che ciò vale anche per quel fenomeno – certo del tutto sui generis – che è l’avvenimento cristiano. C’è una conversione al principio, cui la Chiesa è incessantemente chiamata, c’è una riforma che non può essere elusa e che consiste appunto nel continuo riandare alla forma originaria, dentro l’inevitabile mutare delle modalità espressive di essa, soggette alle varietà delle circostanze storiche[17]. Sono queste delle attualissime indicazioni anche rispetto al tema della fedeltà dinamica cui sono state chiamate, sul tema del “ritorno ai fondatori”, le congregazioni religiose nel tempo del postconcilio.

 

La meditazione rosminiana sulla Chiesa e sulla sua presenza nella storia si presenta così come estremamente interessante proprio perché le Cinque piaghe non rappresentano solo un intervento scritto di un semplice anche se assai appassionato restauratore, ma l’esempio di un’ardente “passione” per la Chiesa-Sposa, corpo “Tutto intero”, che in Rosmini si è concretizzata in uno zelo sapienziale intriso dalla convinzione profonda “che il Cristo, di cui la Chiesa è sposa, è l’‘Agnello ritto sul monte Sion’ dell’Apocalisse (14, 1). E quindi, come la Croce di Cristo è stata illuminata dalla luce della sua Resurrezione, così anche la storia sofferta e piagata della Chiesa può conoscere la propria ricomposizione e la Chiesa stessa tornare ad assomigliare al suo Sposo, Maestro e Giudice[18].

 

Con le sue Cinque piagheRosmini non solo mette – come si usa dire – ‘il dito nella piaga’ come un chirurgo che va alla radice dei singoli mali, ma soprattutto, consapevole che la vera terapia risiede nella guarigione di tutto l’organismo, ci offre una proposta di decisa e radicale riforma della Chiesa. E la riforma necessaria consiste in un ritorno della Chiesa alla sua missione evangelizzatrice, ossia in un ritorno alle origini perché ‘la Chiesa primitiva era povera, ma libera’. La libertà e la povertà permetteranno di nuovo ai pastori e al clero di prendersi cura della fede così che tutto il popolo di Dio possa nutrirsi della Parola e del Sacramento. Ecco dove l’opera di Rosmini può tuttora ispirare la coscienza dei cristiani e la loro presenza in questo mondo[19].

 

Per questo il sacerdote roveretano si presenta come una figura attuale e significativa che offre oggi a chi lo accosta la freschezza del suo richiamo alla natura propria del cristianesimo, l’appello rinnovato e appassionato alla necessità di una ripresa radicale, in questi tempi di “emergenza educativa”, dell’educazione alla fede da compiersi curando da una parte la qualità della catechesi e dall’altra la presenza di autentici maestri e testimoni della fede.

 

Così E. Botto commenta l’esito attuale del contributo rosminiano e l’eredità che oggi il nostro autore ci consegna: “è fin troppo facile rilevare come la Chiesa del Vaticano II abbia ampiamente recepito le denunce e le proposte della Cinque piaghe, comprese quelle che all’epoca fecero più scalpore; e come le abbia recepite talvolta addirittura al di là dei limiti che Rosmini si era imposto di non superare (come nel caso dell’uso del volgare nella liturgia), talaltra semplicemente riconoscendone la buona sostanza, pur senza assolutizzarle (come nel caso della nomina dei Vescovi da parte del clero e fedeli con successiva conferma pontificia, della quale il nuovo Codice di diritto canonico sembra ribadire la legittimità). Il problema che invece resta all’ordine del giorno – e che anzi la nostra età ‘scristianizzata’ ha acuito, ben oltre le possibilità di previsione concesse a Rosmini – è proprio il problema fondamentale che… le Cinque piaghe pongono con commossa lucidità: che il cristianesimo possa essere incontrato nella sua autentica natura, quella di un avvenimento di salvezza vivo e presente, perciò capace di mobilitare la vita dell’uomo nella sua interezza[20].

 

L’ecclesiologia di comunione, che la Chiesa ha esplicitamente espresso nel periodo postconciliare, se attualizzata come vera realizzazione della costante evangelizzazione e/o rievangelizzazione di ciascuno dei suoi membri e delle sue strutture, può davvero costituire il modello che ha la sua “matrice” nella stessa vita trinitaria dalla quale deriva, e che può rispondere a quelle esigenze che così vitalmente e appassionatamente Rosmini aveva saputo scorgere e profeticamente indicare alla Chiesa del suo tempo.



[1] Cf. M. de Paoli, Antonio Rosmini. Maestro e profeta, Paoline, Cinisello Balsamo 2007; O. Cavallo, Pensieri e parole di Antonio Rosmini, cit.

[2] Giovanni Paolo II, Fides et ratio, LEV, Città del Vaticano 1998, n. 74.

[3] Cit. in Charitas 6 (2004) 163.

[4] Benedetto XVI, Angelus (18 novembre 2007).

[5] A. Rosmini, Nuovo saggio sull’ordine delle idee, Tip. di P. Bertolotti, Intra 1875-1876, vol. II, p. 678, n. 1475.

[6] A. Rosmini, Lettera a Michele Parma, 30 gennaio 1831, in Id., Epistolario Completo di Antonio Rosmini-Serbati prete roveretano, G. Pane, Casale Monferrato 1887, vol. III, p. 611.

[7] Giovanni Paolo II, Udienza ai padri capitolari dell’Istituto della Carità (10 novembre 1988), in L’Osservatore Romano (11 novembre 1988), p. 5.

[8] Cf. C. Riva, La “caritas” sorgente dell’ordinamento della Chiesa in Rosmini, D’Auria, Napoli 1973.

[9] N. Galantino, Saggio introduttivo, in A. Rosmini, Delle cinque piaghe della santa Chiesa, San Paolo, Cinisello Balsamo 1997, pp. 24-25.

[10] E. Botto, Introduzione a A. Rosmini, op. cit., Fabbri Editori, Milano 1996, p. VIII.

[11] C. Salvetti, Antonio Rosmini. Delle cinque piaghe della Santa Chiesa, breve fascicolo di presentazione.

[12] Ibid.

[13] A. Rosmini, Massime di perfezione cristiana, Città Nuova, Roma 1976, p. 41.

[14] Ibid.

[15] A.M. Tripodi, Rosmini. La forza della verità, ECIG, Genova 2005, p. 241.

[16] N. Galantino, op. cit., p. 26.

[17] E. Botto, op. cit., p. X.

[18] N. Galantino, op. cit., pp. 26-27.

[19] C. Salvetti, op. cit.

[20] E. Botto, op. cit., p. XVI.

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