Angelo Nazareno Beghetto

Uno dei primi religiosi che ha seguito Chiara Lubich, che ha collaborato con lei alla fondazione del Movimento dei religiosi e che ha sostenuto "Unità e Carismi".
Angelo Nazareno Beghetto
Non dimenticherò mai il suo volto: gioioso, sereno, riposato, trasparente, illuminato. Il suo sguardo azzurro e profondo comunicava gioia e dolcezza. Il suo sorriso non lasciava nessuno indifferente. Da dove tutto questo?

Angelo Beghetto è nato in Svizzera, a Brigasso, nel Canton Ticino, il 20 gennaio 1917. Figlio d’immigranti, tornò molto presto in Italia. Entrato giovanissimo tra i Francescani Conventuali, prese la licenza in filosofia presso l’Ateneo Urbaniano di Propaganda Fidee il Dottorato in teologia nella Facoltà San Bonaventura. Ordinato sacerdote nel 1940, ben presto conferma le sue spiccate doti intellettuali, dedicando i primi anni del suo ministero all’insegnamento della filosofia e della teologia nei collegi Conventuali a Padova.

 

Come un lampo

 

Il disegno di Dio su di lui si è manifestato in un modo molto chiaro. Aveva 32 anni, quando un incontro imprevisto cambiò la sua vita. È lui stesso a raccontarlo:

Era la fine dell’anno 1949. Stavo spiegando ai giovani chierici l’argomento di sant’Anselmo sull’esistenza di Dio, quando mi dicono: ‘Ti aspettano nel parlatorio’.

Finisco l’ora di lezione e scendo in parlatorio. C’erano due ragazze. Ci salutiamo. Una di loro mi rivolge una domanda, con molta semplicità: ‘Vero, Padre, che anche lei ama Gesù’? La mia risposta non arriva subito. Sono costretto a fare un breve esame di coscienza.

Nessuno mai, neanche il mio maestro di noviziato, mi aveva rivolto una domanda così diretta e centrata. Ero stato colto di sorpresa. La mia risposta riflette il mio stato d’animo: ‘Sì… mi pare di sì’. Avevo avvertito qualcosa come il giudizio di Dio su di me. Sinceramente mi pareva di amare Dio. Eppure in quel momento, di fronte a quelle due giovani così semplici, serene, sorridenti avvertivo dentro di me qualcosa che mi sconvolgeva senza turbarmi.

La mia vita veniva scossa da un torpore, percepivo come un raggio di luce.

Una delle due giovani aveva incominciato a parlare. Non ricordo esattamente le sue parole. Era una storia meravigliosa, nella quale l’umano e il divino si intrecciavano in una composizione stupenda e impressionante. Sullo sfondo della straziante tragedia della guerra, che tutto faceva crollare: ideali e progetti umani, appariva con un fascino potente, irresistibile, avvincente, entusiasmante l’unica vera, perenne, intramontabile, indistruttibile realtà: Dio-Amore.

Mentre quella giovane parlava si produceva in me una sensazione mai provata. Lei parlava di Gesù, di Dio, di Vangelo… Non eravamo noi sacerdoti che avevamo allora il ‘monopolio’ del Vangelo, della evangelizzazione? Sentire queste cose dette da una giovane laica era strano, quasi incredibile.

Ebbi un attimo d’esitazione. Poi, come un lampo, come una spada che mi trafiggeva, risuonavano nel mio intimo chiare, distinte, le parole di Gesù: ‘Io ti benedico o Padre… perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli’… (Mt 11, 25). Avevo l’impressione che lo Spirito di Gesù, presente in quelle persone, attraverso quelle parole, rese così vive e luminose dalla loro vita, mi penetrasse la mente e il cuore. E mi lasciavo prendere da Lui che mi distruggeva e mi costruiva, mi sradicava e mi piantava, mi scarnificava e mi rigenerava con la sua Parola di Vita.

La Parola di Dio non era stata mai così vera, così reale, così vitale, così… Contemporaneamente mi risuonavano nell’animo le parole di san Francesco, il mio fondatore: ‘Mio Dio e mio tutto… L’Amore non è amato… Siate frati minori… Lavatevi i piedi gli uni gli altri… Conosco Gesù povero e crocifisso…’.

Ascoltavo, ascoltavo. Ero conquistato. Avrei voluto che quell’incontro non finisse più.

 

Tutto è partito da lì

 

Angelo fu davvero conquistato da Dio. E l’incontro, veramente, non è finito lì. Anzi, tutto è partito da lì: un nuovo slancio, una nuova visione delle cose, un forte desiderio di mettersi nelle mani di Dio e capire il suo immenso amore. C’è una luce nuova che illumina il suo passato per valutarlo con gli occhi di Dio. Un po’ alla volta cambia il suo sguardo, non più mirato verso se stesso, ma verso gli altri e verso il mondo intero. Cambia il suo rapporto con Dio, il suo modo di pregare e di valutare le realtà umano-divine del suo sacerdozio. Cambia il suo rapporto con i confratelli e con ogni persona.

 

Compresi – dice lui – che la vita religiosa, sacerdotale non era più soltanto una questione personale e nemmeno circoscritta da momenti particolari della mia giornata: la messa, il divino ufficio, la meditazione, lo studio, ecc., ma che il Signore mi chiedeva di stabilire in ogni momento, in ogni azione, un rapporto d’unità con Lui e con i miei fratelli, e con tutti coloro che sono chiamati a essere uniti nel Nome di Gesù per essere testimonianza al mondo perché si converta e creda.

Lo Spirito di Gesù mi chiamava in maniera forte e soave, a unirmi a tutte quelle persone che erano diventate strumenti docili del suo amore, della sua suprema volontà, per portarla fino agli estremi confini della terra.

 

Qualcosa di molto profondo si è radicato nel suo cuore. Non ha capito subito la portata di quell’incontro. La capirà un po’ alla volta nelle diverse mansioni e ruoli che svolgerà nella sua vita. Capisce però che tutto diventa secondario, se paragonato con quei valori. Il carisma che Chiara Lubich stava diffondendo in Italia e che puntava sulla scelta di Dio, sull’amore per Lui, sull’unità con i fratelli, l’ha raggiunto in pieno.

 

Dirà più tardi, in una lettera del 1986 indirizzata a Chiara: “Noi siamo corsi all’Ideale, assetati di acqua viva, di Dio, e ci hai rigenerati nello Spirito. Non c’era altra preoccupazione se non quella di seguire te, come i discepoli seguivano Gesù, perché in te lo Spirito Santo aveva collocato quel ‘seme’ di vita: l’unità, che… avrebbe portato tutti alla realizzazione dell’ut omnes. Tutto il resto: carismi, volontà di Dio particolari, situazioni, compiti ecc. erano, e restano, importanti, ma secondari, rispetto all’unum necessario.

 

Sembrava che tutto quanto avesse vissuto prima, la sua preparazione umana, religiosa e intellettuale, venisse consolidato da questo carisma che non eliminava, anzi potenziava e illuminava il carisma di Francesco.

Angelo continua a svolgere pienamente il suo lavoro per l’Ordine dei Francescani Conventuali. Vengono in rilievo tutte le sue capacità umane di apertura e di intraprendenza, la sua profonda umanità, ma anche la sua prudenza e saggezza, la sua spiccata oculatezza amministrativa, tutta la sua capacità di rapportarsi con le persone, tanto che i suoi confratelli lo eleggono provinciale della vasta provincia di Padova. Aveva solo 34 anni.

 

Nel frattempo s’interessa per quel Movimento che stava dando i primi passi. Non mancava agli incontri, frequentava i giovani e le giovani che l’avevano attratto per il modo semplice e radicale con cui vivevano il Vangelo. Intuiva che qualcosa di grande e bello stava per nascere nella Chiesa che i religiosi non potevano ignorare. Infatti, nelle prime Mariapoli, c’era già un bel gruppo di religiosi e sacerdoti che erano accolti da lui. E quando, come accadde a Padova, il Movimento incontrava qualche incomprensione, era lui l’angelo protettore di quei giovani focolarini che avevano bisogno di sostegno e di comprensione.

 

Una realtà nuova nella Chiesa

 

In una di queste Mariapoli, nel 1954, incontra il gesuita slovacco Paolo Hnilica. Solo più tardi si seppe che fosse vescovo. La Santa Sede gli aveva affidato il “Comitato Mystici Corporis”, istituito per lo studio dei problemi della Chiesa nell’Est europeo. Per aiutarlo in questo lavoro, mons. Hnilica chiamò i sacerdoti e religiosi che aveva conosciuto nelle Mariapoli. Il gruppo prese il nome di “Lega sacerdotale e religiosa”.

 

Il Movimento dei Focolari mise le sue forze al servizio di questa causa e Angelo riceve dal suo Superiore Generale il permesso di impegnarsi nel Comitato. Rieletto, però, superiore provinciale, accetta questo servizio solo per sei mesi.

Cosicché, nel 1956, a Roma, in via Capocci, nasce un “focolare” per sacerdoti e religiosi, messi a disposizione del Comitato dai rispettivi superiori. Oltre a Hnilica ne fanno parte il nostro Angelo, Andrea Balbo, ofm, Giuseppe Savastano e Giuseppe Leopardi, pallottini, e Saverio Cick, cgg.

 

Attorno a questo gruppo c’erano altri religiosi che condividevano l’esperienza di unità con il Movimento dei Focolari. Uno di loro racconta: “È stata un’esperienza molto bella. Eravamo di Ordini differenti, ma ci sforzavamo di essere una cosa sola tra di noi. Non notavamo neanche di essere vestiti differentemente”. Nella Mariapoli del 1959 parteciparono religiosi di più di sessanta ordini, solo maschili, tutti assettati di unità.

La “Lega sacerdotale e religiosa”, lavorando in squadre composte da un focolarino, una focolarina, un sacerdote diocesano e un religioso, organizzava delle giornate, tre domeniche al mese, in differenti parrocchie e diocesi, con interventi, conferenze e incontri sul problema della Chiesa d’oltre cortina. La focolarina era l’anima del gruppo, ma il responsabile per i rapporti ufficiali con i vescovi era il sacerdote o il religioso della Lega. Angelo era il responsabile degli incontri nella zona di Trento.

 

Questa collaborazione tra i differenti ordini religiosi non era a quei tempi una cosa abituale nella Chiesa. I religiosi della Lega, però, raccontarono la loro esperienza ad Arcadio Larraona, cmf, segretario della Congregazione per i Religiosi, che l’appoggiò moltissimo. Diceva: “Fin da quando ero giovane sognavo una tale collaborazione: quanto sarebbe bella la Chiesa se ci fosse questa unità tra tutti gli Ordini religiosi. Io ho lavorato tanto per questo. Adesso vedendo voi, che siete così giovani e che avete questa anima, mi pare un sogno. Non abbiate paura delle difficoltà. Le difficoltà verranno, e tante, ma non abbiate paura. Questa è la strada giusta. Attraverso le attività della Lega furono avvicinati tantissimi religiosi e sacerdoti, studenti dei collegi internazionali e missionari che andarono in tutto il mondo.

 

Quando, nel 1958, il “Comitato Mystici Corporis” fu sospeso, anche perché il Movimento de Focolari era sotto esame presso la Santa Sede, Angelo non perde tempo. Con il gruppo dei religiosi della Lega collabora con il Movimento per il Mondo Migliore di Lombardi, vedendo in esso un’occasione per parlare a tutti dell’Ideale dell’unità. Infine, dopo aver superato varie difficoltà, a Grottaferrata sorge nel 1960 un “focolare” di religiosi, composto dal nostro Angelo, da Andrea Balbo e da Saverio Cick.

 

L’amico di tutti

 

La spiritualità dell’unità aveva contribuito a far crescere in Angelo la capacità di ascolto, il rispetto per ogni persona, la passione per l’unità della Chiesa e la fratellanza tra tutte le religioni. Quando, nel 1960, i superiori lo destinano a Istanbul, in Turchia, con il compito di ministro provinciale della provincia di Oriente e Terra Santa, Angelo capisce che questa è un’occasione sicuramente preparata da Dio.

 

Nel suo cuore c’è un unico desiderio: lavorare per l’unità tra tutti. Le occasioni non mancheranno. Se viene colpito dalla fede ben radicata dei cristiani, molto più lo colpiscono le divisioni scandalose tra le varie Chiese: cattolica, ortodossa, armena, siriana, anglicana, evangelica, luterana. E nella stessa Chiesa cattolica la differenza rituale dei cattolici latini, greci, armeni e caldei rendeva molto difficili i rapporti di convivenza. Come fare?

 

Angelo trova la soluzione: intrattenere rapporti di sincera amicizia con tutti: “La mia attitudine nei confronti di tutti indistintamente – racconta lui stesso – era quella di considerarli fratelli nei quali amare Gesù”. Diviene così amico di cattolici, ortodossi, musulmani, ebrei. Pastori protestanti, anglicani e luterani lo invitano tutti a parlare nei loro servizi religiosi: parla della Chiesa cattolica, del Papa, del Vaticano II, dei movimenti ecclesiali, del Movimento dei Focolari. Tutte occasioni per dei contatti veri con persone di ogni credo e religione, che lo rendono un amico sincero e disinteressato di tutti. Il suo ideale era chiarissimo: “Qui, in questa terra di missione, ciò che conta è l’essenziale: amare senza sosta, donarsi a tutti, perché i cristiani diano testimonianza al mondo della carità vicendevole. Di fronte ai musulmani non v’è che questa via capace di farli avvicinare a Gesù”.

 

“Perché non ci amiamo?”

 

Ma fu soprattutto con la Chiesa ortodossa che si stabilì un rapporto cordiale e una fraterna amicizia, stima e comprensione vicendevole. Un giorno una persona gli dice: “Lei è molto ben voluto dagli ortodossi e io avrei piacere che lei conoscesse il nostro Patriarca”. Si trattava del grande Patriarca Ecumenico Atenagora.

Angelo accettò subito e, fissata la data, si recò da lui, accompagnato da quella persona. “Per strada – racconta lui stesso – pensavo che era Gesù da amare, al di là di tutto e sopra tutto. L’amore mi avrebbe suggerito come comportarmi anche di fronte ad una persona di così elevata dignità e ricchezza spirituale e morale”.

 

L’incontro avvenne nel modo più semplice e familiare. “Conosceva tutto di me – continua Angelo – dei miei rapporti con i cristiani delle varie Chiese, con i musulmani e gli ebrei e la conversazione si avviò subito sull’importanza, sulla necessità urgente di rimediare allo scandalo secolare della disunità, di fare tutti gli sforzi per ristabilire rapporti atti a riportare i cristiani all’amore reciproco, alla carità della Chiesa dei primi tempi. Mi parlò della sua stima per il Papa, per Roma, che non aveva mai vista e che desiderava tanto vedere”. 

 

Dopo questo primo incontro ne seguirono altri molto cordiali e pieni di sollecitudine per la Chiesa, per i popoli, per il ricupero dei valori essenziali dell’uomo. Il Concilio aveva dato tanta speranza al Patriarca Atenagora. Rattristato dalle divisioni in seno alla Chiesa e invaso dalla carità di Cristo, ripeteva spesso: “Perché non ci amiamo? Perché non ci amiamo?”.

 

Angelo aveva nel suo cuore il desiderio nascosto di dare al Patriarca la possibilità e la gioia di conoscere colei che tanto lavorava per l’unità: Chiara Lubich. In una visita personale gli disse che voleva parlargli di una cosa importante. Il Patriarca gli fissò un appuntamento per il giorno successivo: “Mi recai da lui con l’animo gioioso e trepidante. Mi sentivo portatore di una realtà e di un messaggio preziosi, che mi erano stati consegnati come un dono di Dio e con semplicità, umiltà e amore dovevo offrire al Pastore e Padre della Chiesa ortodossa”.

 

Il colloquio durò una ventina di minuti. Mentre gli parlava di Chiara, del suo Ideale e del Movimento dei Focolari che lo Spirito aveva suscitato nella Chiesa, appunto per portare l’unità nel mondo intero, Angelo notò che “il suo viso si illuminava, i suoi occhi brillavano per la commozione. Il Patriarca gli strinse la mano e gli disse: “Dov’è Chiara? Perché non viene da me? Dille che venga, la voglio vedere al più presto”.

 

E Chiara andò da Atenagora il 13 giugno 1967. Tornò altre volte negli anni successivi. In quegli otto incontri riservati con il Patriarca, Angelo fu sempre un testimone privilegiato, come traduttore particolare dei loro colloqui. Gli incontri a Istanbul e poi a Roma tra Paolo VI e il Patriarca Atenagora, ancora nel 1967, sono frutto di questi colloqui tra persone che non hanno avuto altro desiderio nel cuore che la volontà di Gesù: “che tutti siano uno!” (cf. Gv 17, 21).

 

In tutto questo Angelo ebbe un ruolo di umile precursore. Il Patriarca amava chiamarlo il suo “angelo”, il suo “consigliere” o il suo “confessore”, perché gli confidava i suoi più intimi desideri, le sue preoccupazioni, i sogni di unità che portava nel suo cuore.

 

Per la comunione dei carismi

 

La vocazione di Angelo non era soltanto quella “ecumenica”. Lo capì anche il suo superiore generale, Basilio Heiser, che gli diede il permesso di dedicarsi nuovamente al Movimento dei religiosi. Gli scrive: “Nel mondo contemporaneo, soprattutto noi frati siamo chiamati a testimoniare Cristo in molte maniere… Pertanto vediamo bene che i religiosi abbiano la libertà necessaria – entro i limiti concessi dai loro doveri e dall’obbedienza – di dedicarsi a particolari forme di apostolato al servizio del prossimo. Non ho quindi nulla in contrario che il Padre Angelo Beghetto, d’accordo con il suo Superiore Maggiore, continui la sua attività nell’ambito della Lega sacerdotale e religiosa degli aderenti al Movimento dei focolari dell’Unità e che partecipi agli incontri ecumenici con i vari gruppi non-cattolici. Siamo tutti chiamati ad essere strumento di Dio per fare del bene.

 

Destinato al convento di Sant’Antonio alle Terme, a Roma, nel 1974, è consapevole che si apre una nuova pagina nella sua vita, “nella quale – dice lui – sento che devo riconsacrarmi in modo totalitario a Dio per l’ideale dell’unità”. Gli ultimi trent’anni della sua vita saranno dedicati alla comunione tra i carismi. Ma, l’esperienza ecumenica maturata a Istanbul lo renderà ugualmente prezioso presso il Centro Uno per il dialogo ecumenico del Movimento. È inviato dappertutto: in Germania, Svizzera, Austria, Francia, Belgio, Olanda, Malta, Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Brasile, Argentina, Cile…

 

Dentro del suo ordine gli vengono poi attribuiti altri ruoli. Nel 1977 è a Roma, all’EUR. Nel 1979 è a Montericco, vicino Padova e poi, a Padova, direttore della casa editrice e della rivista Messaggero di Sant’Antonio. Dappertutto sente di dover amare e tessere rapporti di unità tra le persone che lavorano in questo settore: “Fuori sorridevo – racconta –, dentro continuavo a dirGli: Ti amo, Ti amo, Ti amo… prendimi, fai di me quello che vuoi, sono tuo… Cerco di capire i frati, gli operai, gli impiegati e, soprattutto, quello che Dio vuole anche attraverso quest’opera promossa da Sant’Antonio e che si rivolge alle persone semplici, umili, sofferenti, addolorate, che credono ancora in Dio, che, nella loro disperazione, domandano aiuto a Sant’Antonio per avere una parola di conforto, un consiglio per ritrovare la fede… Qui ci vorrebbero persone prese da Dio… Sono certo che questo avverrà. Dio non abbandona chi si rivolge a Lui con fede. Ma ci vuole pazienza, prudenza, calma… tanto amore. La prima cosa è fare dei religiosi una famiglia reale, concreta, nella quale circoli l’amore.

 

Avendo vissuto venti anni fuori dell’Italia, non sempre trova facile reinserirsi nei conventi dell’ordine, perché tante cose sono cambiate. A volte si trova nel buio. “Non capisco più nulla… – scrive il 29 giugno 1976 – Ma so che è Lui”.

“Lui” è Gesù abbandonato, il cui volto aveva imparato a scorgere ed amare dappertutto. Lo dice in uno scritto del 2 febbraio 1982: “Talvolta ho l’impressione di essere sospeso nel vuoto, di essere rifiutato da tutti. Ma nell’animo non è mai venuta meno la certezza del suo Volto, quello di Gesù abbandonato e di Maria desolata… Ho sempre creduto nell’Amore… Talvolta mi sono trovato in situazioni strane, nelle quali quasi non capivo più quale fosse la volontà di Dio su di me in quel momento. Tirato da tutte le parti, sono stato spesso motivo di ‘scandalo’ senza saperlo, sembrandomi di fare bene e non avendo la possibilità di mettere Gesù in mezzo con qualcuno. Il mio unico confidente era Gesù. Ero certo che Lui mi avrebbe tratto in salvo… Nonostante tutto non ho mai fatto nulla senza metter al corrente il mio superiore diretto.

 

Il Movimento dei religiosi

 

Nell’ottobre del 1982, a Grottaferrata, Angelo fa parte di una “comunità-focolare”, che si apre proprio in quell’anno e che è composta da religiosi di vari istituti, a servizio dei religiosi aderenti al Movimento dei Focolari.

Sono anni nei quali, come responsabile del Movimento dei religiosi, vengono fuori ancora di più tutte le sue doti umane e spirituali che mette a servizio di tutti. Cerca di trovare il tempo per ciascuno e di coltivare i rapporti personali con la sua profonda umanità. La fedeltà al suo rapporto con Dio, alla preghiera e all’amore sincero per Maria arricchivano la sua personalità. Importante per lui era contribuire a rendere più forte la presenza di Gesù fra i religiosi: “Nel nostro focolare si rafforza sempre più la presenza di Gesù in mezzo… Se nel nostro focolare c’è Gesù in mezzo, tutto il resto viene di conseguenza. Nel cuore, nonostante la mia età (tra un mese, se Dio vuole, avrò 75 anni) sento un grande ardore di portare a tutti l’Ideale, che è la salvezza del mondo.

 

Sono numerose le lettere che scrive in questo periodo a Chiara, nelle quali cerca di manifestare il suo amore per l’Ideale dell’unità e di ringraziare il Signore per questo dono prezioso: “La mia vita, per il dono che Dio mi ha fatto, attraverso di te, è una ‘grazia’ perenne che mi inonda e trasforma il mio spirito e il mio corpo in olocausto d’Amore perché tutti siano uno”(1.1.1985).

Il 15 dicembre 1990 testimonia “un grande desiderio di paradiso con Gesù, il Padre, lo Spirito Santo, Maria, tutti i santi e, con te, tutti i mariapoliti celesti[1]. Sarà una festa, un vero banchetto celeste. E per quel tempo che Gesù vorrà che siamo qui ‘nella Chiesa militante’, con tutta l’acie schierata a battaglia, perché vinca l’Amore, combatteremo la ‘buona battaglia’, ‘affinché tutti siano uno’. Non loderò mai abbastanza il Signore per l’immenso dono dell’Ideale, che tu ci hai trasmesso. Tutto è ‘sapienza e amore’, anche ciò che una volta ci poteva sembrare un po’ pesante, come le regole, gli elenchi, le statistiche ecc., perché in tutto si manifesta la bellezza del Verbo incarnato, che si è costretto entro i limiti umani”.

 

Ricordando le sue esperienze ecumeniche esulta: “Come avrebbe potuto la Chiesa cattolica penetrare nelle altre Chiese senza questa strada che ora, attraverso l’Opera di Maria, può seguire senza suscitare le reazioni di ‘invasione di domicilio e di territorio’? Ecco che lo Spirito Santo ora entra con il suo soffio leggero e, quasi senza accorgersi, l’unità si fa tra noi, tra le Chiese, tra le religioni e perfino tra tutti gli uomini di buona volontà.

Non ho esperienza di estasi – scrive ancora a Chiara –, ma questa mattina ho avuto la sensazione di qualcosa come di un’estasi collettiva: tu ci hai portato, con te, in Paradiso. Non ero più in questo mondo. E sentivo, come un dono particolare dello Spirito, che la mia vita non sarebbe più stata come prima” (10.6.1991).

Ogni giorno e spesso durante il giorno e anche di notte, quando mi sveglio, ringrazio Gesù che mi ha scelto, solo per l’immenso suo amore, a seguirlo nell’Ideale” (14.2.1992).

 

L’ultima grande prova

 

Nel 1996 – già sotto il peso degli anni – torna nella sua comunità a Padova, nel grande convento degli studenti di teologia, dove è accolto e curato con amore. Ma si trova un po’ spaesato tra i giovani che non lo conoscono. È l’inizio di una grande prova per Angelo. Offre tutto per l’unità, per la Chiesa, per tutta l’umanità. Lo dice nella corrispondenza con Chiara: “Questo è un momento di solitudine, lo offro per te e per l’Opera intera. È l’unità con te, Chiara, che mi prepara a incontrare Gesù, lo Sposo, con coraggio. Sono rivolto verso il Padre e mi fido di tutto” .

 

E Chiara gli risponde: “Posso pensare naturalmente che le sue giornate non sono troppo facili e che Lei abbia da offrire tutto per la Chiesa ed anche per il nostro Movimento. Lo faccia, Padre, così continua a essere attivo in esso e confortato con tutti noi dei frutti che costantemente raccoglie… Mandi la sua benedizione sull’Opera e si senta sempre con noi, come noi vogliamo essere con Lei”.

 

Nel 1997, non essendo più autosufficiente, matura l’idea di portarlo nella cittadella di Loppiano. Si sente subito a casa, circondato dall’amore di tutti. L’amore accogliente è la miglior medicina. Chiara gli scrive subito manifestandogli la sua gioia per la decisione: “Ho saputo che finalmente ‘è arrivato a casa’, a Loppiano, accolto con particolare amore da Maria, presente nella Sua Opera. Sono certa che, circondato costantemente da Gesù in mezzo, avrà nuova luce e nuova forza. Io la ricordo ogni giorno nelle mie preghiere e sono sempre con lei, Padre Nazareno, perché, conducendo la navicella della sua vita, possa superare tutti i marosi, usando quei ‘due remi’: il ‘Sei tu, Signore l’unico mio bene’ e l’amare sempre. Chiedo a Maria che la ricompensi con la Sua continua, materna presenza, per quanto ha donato e sta donando all’Opera”.

 

I religiosi del Centro internazionale di spiritualità “Claritas”, i sacerdoti e i focolarini si alternano nell’assistenza. Angelo partecipa, come può, alle attività di Loppiano. È felice, quando la domenica i giovani spingono la sua sedia a rotelle fino al Salone San Benedetto. È radioso, quando tutti i giovani di tante lingue e nazionalità lo salutano e scherzano con lui. Il suo sguardo profondo e pieno di luce e il suo sorriso non lasciano nessuno indifferente.

 

Un giorno, tanti anni prima, Chiara aveva dato ad Angelo un nome nuovo. Avrebbe voluto chiamarlo Gesù, ma in Italia non si usa chiamare nessuno con questo nome. Per questo, gli disse che si sarebbe chiamato Nazareno, ricordando che il momento più alto della vita di Gesù è stato il suo abbandono in croce. È stato questo il grande segreto di Nazareno: la progressiva trasformazione in Gesù abbandonato, celata dal suo modo di fare sempre gioioso e sereno. Il suo volto lui l’ha riconosciuto in tutte le situazioni dolorose della sua vita, nelle contrarietà, nelle incomprensioni, nella solitudine, nella malattia.

 

Maria, che tanto amava, è venuta a prendersi Nazareno, per portarselo in paradiso, proprio il primo maggio 2005, all’inizio del mese a lei dedicato, mentre attorno a lui si recitava il rosario…

Era il giorno in cui a Loppiano si radunano tanti giovani per una grande festa. Era il giorno in cui gli ortodossi celebravano la Pasqua di risurrezione di Gesù. La data non poteva essere più significativa per lui, che tanto ha lavorato e pregato per l’unità.

 

Così si è adempiuto il sogno ecumenico di Nazareno: “Dare la vita, come Cristo – così in un suo scritto del 1974 -, perché con l’ut omnes si realizzi non solo il Paradiso in Cielo, dove tutti noi canteremo il Cantico dei Cantici e passeggeremo in quel luogo d’incanto, ma anche il Paradiso sulla terra, che attragga tutti gli uomini e comprendano come Dio è veramente, Padre e Madre, che ci crea e ci nutre e ci dà il centuplo.

 



[1] I mariapoliti celesti sono i membri del Movimento dei Focolari che hanno già raggiunto il Paradiso (ndr).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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