Anche questo è terrorismo

Nuova Zelanda sotto choc per un attentato che ha preso di mira gente che pregava in due moschee di Christchurch, nell’isola meridionale dell’arcipelago. Unanime condanna, con gravi “distinguo”

Una notizia che non sorprende, perché l’odio sparso prima o poi provoca altro odio. Ma la notizia sorprende, questo sì, per il luogo, la Nuova Zelanda, in particolare l’isola meridionale e la sua più grande città, quella di Christchurch (nome che forse non a caso fa il giro del mondo in queste ore), luogo tranquillo per eccellenza. Dove l’odio non sembrava finora di casa.

Aftermath of an attack that killed 49 people at mosques in Christchurch

I fatti sono ormai noti. In due moschee di Christchurch 49 fedeli, tra cui una bambina di 5 anni, sono state uccise da Brenton Tarrant, un australiano bianco di 28 anni, che ha avanzato motivazioni anti-immigrati. Sono state arrestate 4 persone. La premier neozelandese, Jacinda Ardern, ha affermato che la strage è stata frutto di un «attacco terroristico, in uno dei giorni più bui per il Paese». Il killer ha utilizzato varie armi e ha ripreso la strage in diretta streaming. Il killer ha detto di ispirarsi al terrorista islamofobo di estrema destra norvegese che, nel luglio del 2011, uccise 77 persone a Oslo e sull’isola di Utoya, il tristemente noto Breivik. Sulle sue 5 armi aveva scritto i nomi dei suoi modelli, tra cui Luca Traini, l’estremista di destra autore dell’attacco contro migranti compiuto l’anno scorso a Macerata. Brenton Tarrant pianificava gli attacchi da due anni. Ha precisato di aver scelto la Nuova Zelanda per dimostrare che anche le parti più remote del mondo non sono esenti da “immigrazione di massa”. Vari ordigni esplosivi, artigianali, sono stati disinnescati dalla polizia nei dintorni delle moschee. Papa Francesco si è detto «profondamente addolorato nell’apprendere della ferita e della perdita di vite umane causate dagli insensati atti di violenza».

La piccola città di Christchurch è incredula dinanzi alla devastante strage che nessuno immaginava avrebbe potuto aver luogo proprio lì. Nikos, un amico greco immigrato proprio a Christchurch, mi invia subito la commovente preghiera del suo vescovo cattolico, Paul Martin: «Signore, rendici strumenti della tua pace: dove c’è odio, seminiamo amore; dove c’è ferita, perdono; dove c’è dubbio, fede; dove c’è disperazione, speranza; dove c’è oscurità, luce; dove c’è tristezza, gioia. O Maestro divino, concedi che non cerchiamo tanto di essere consolati ma di consolare, di essere capiti ma di capire, di essere amati ma di amare. Perché è nel dare che riceviamo, è perdonando che siamo perdonati, ed è nel morire che siamo nati per la vita eterna». Mentre i vescovi cattolici neozelandesi così si sono espressi a proposito della comunità musulmana di Aotearoa, cioè della Nuova Zelanda: «Stiamo pregando mentre ascoltiamo la terribile notizia della violenza contro i musulmani nelle moschee di Christchurch. Siamo profondamente consapevoli delle relazioni positive che abbiamo con le persone islamiche in questa terra, e siamo particolarmente inorriditi che ciò sia accaduto in un luogo e in un momento di preghiera. Siamo profondamente rattristati dal fatto che le persone siano state uccise e ferite, e che i nostri cuori si rivolgano a loro, alle loro famiglie e alla più ampia comunità. Vi auguriamo di essere consapevoli della nostra solidarietà con voi di fronte a tale violenza. Salaam».

In un documento postato su Internet, l’autore della strage cerca di giustificare il suo atto. In particolare si rifà a una delle teorie suprematiste più note, quella del “grande sostituto”, secondo la formulazione del teorico d’estrema destra francese Renaud Camus, che tuttavia ritiene di non avere alcuna responsabilità per la vicenda di Brenton Tarrant. In tutte le 74 pagine del documento, assai disconnesso e farneticante, Brenton Tarrant si dice «rattristato» da una presunta «invasione del mondo occidentale» da parte di «non europei». Così, ad esempio, vede in Emmanuel Macron un «internazionalista, globalista, anti-bianco». Cosa dice la teoria di Renaud Camus? Da un lato presenta una costatazione demografica: a causa di un’immigrazione massiccia e di una maggiore fertilità, le popolazioni di origine non europea sarebbero in procinto di superare numericamente le popolazioni caucasiche in Europa; dall’altro indica il colore della pelle e l’etnia come unici criteri di appartenenza all’Occidente. Una teoria perciò evidentemente razzista. In più, emerge un elemento che pare uscire dritto dritto dal fondo complottista di tanta parte del web, e che fa non pochi proseliti: il «grande sostituto», cioè l’immigrato o più propriamente l’immigrazione nel suo complesso, con la complicità di un «potere sostitutivo», cioè le élite dominanti capitaliste, i «mondialisti», organizza volontariamente un’immigrazione massiccia per costruire un nuovo uomo «libero da ogni specificità nazionale, etnica e culturale», e quindi «scambiabile» e «ricollocabile» secondo le esigenze dell’economia globalizzata.

Il primo ministro australiano Scott Morrison visita la moschea Lakemba con i leader della comunità islamica.
Il primo ministro australiano Scott Morrison visita la moschea Lakemba con i leader della comunità islamica.

A Christchurch è andata in scena una semplice conseguenza, quasi logica e inevitabile, dell’odio sparso a piene mani in troppe parti del pianeta. Cristianofobia? Islamofobia? Xenofobia? Le fobie si assomigliano tutte, perché riducono l’altro, il diverso, a nemico. Va riletto René Girard (e Gandhi e Martin Lurther King e la Lubich e Capitini e Quinzio, e tutti i sostenitori della pace ad ogni costo) che sosteneva come la fobia porta in via diretta alla violenza. La quale può essere contrastata solo disinnescando la potenzialità negativa dell’aggressività con l’assunzione personale di responsabilità «anche dell’altro», non solo le proprie. Il cristianesimo, secondo Girard, trasforma, imitando il Cristo sulla croce, la violenza in creatività amorosa.

Spargere tossine attorno a sé prima o poi si ritorce anche contro chi le sparge: stupisce e indigna che a poche ore dall’attentato esponenti politici di primo livello, a tutte le latitudini, facciano dei distinguo: «Ma la violenza musulmana è più grave di questa…», si dice sui social e alle tv. La violenza è violenza e basta, va bloccata con una cultura dell’incontro e del dialogo, non con una cultura dello scarto e della demonizzazione reciproca.

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