Anche in Giappone si ammazza all’ingrosso

Il contagio dell’assassinio facile di massa pare valicare oceani e montagne senza nemmeno essere veicolato da un virus. I social network hanno un ruolo centrale in questa proliferazione. Anche il Paese del Sol levante contagiato
Stragi © Michele Zanzucchi 2015

A Sagamihara, in Giappone, un ventenne ha ucciso ieri 15 persone e ne ha ferite 45, in una struttura per disabili. Era un ex-dipendente del Tsukui Yamayuri-en, un day hospital per disabili. Ha usato un coltello, passando stanza per stanza e ammazzando i pazienti con cinica sistematicità. Il ragazzo era in cura psichiatrica. È fuggito, consegnandosi però alla polizia qualche ora più tardi. In Giappone si preferiscono le armi bianche a quelle da fuoco per le stragi di massa: a marzo e a maggio si sono vissuti episodi analoghi nel Paese del Sol levante.

 

Tratto distintivo di gran parte degli attentatori che “sparano nel mucchio” (al di là delle più o meno reali influenze jihadiste) è giovane età, disturbo mentale, profondo disadattamento sociale, turbe psichiche a non finire, conoscenza con le forze dell’ordine e i tribunali per episodi di piccola delinquenza o di commercio di sostanze stupefacenti. Ieri scrivevo su questo sito degli “anelli deboli” di una società come quella tedesca che sono saltati quando la tensione ambientale ha raggiunto livelli di guardia. Il caso giapponese – poche ora prima avevamo registrato l’ennesimo episodio simile a stelle e strisce, ma con armi da fuoco – conferma il profondo malessere che sembra superare oceani e montagne. Si spara nel mucchio per vendicarsi. Di chi? Di cosa?

 

Sarebbe facile mettere sullo stesso piano episodi che poco hanno di comune: i disabili giapponesi non hanno nulla in comune con i giovanissimi falciati nel centro commerciale di Monaco di Baviera, o con gli studenti ammazzati negli Stati Uniti. Ma qualcosa accomuna tutti questi casi: il mondo digitale.

 

Le imitazioni perverse, gli indottrinamenti lampo, le strategie diaboliche, i bullismi feroci… Nella grande cloaca della Rete stagna quel brodo mefitico in cui tanti giovani, ma anche meno giovani, coltivano le loro perversioni. Al riparo dallo sguardo di genitori, educatori, persino amici. Nel buio della loro stanzetta, o nel gorgo del loro cellulare. Per coloro che hanno difficoltà a convivere con la realtà, a confrontarsi con la difficoltà quotidiana della vita, il buco nero del web diventa realtà surrogata.

 

Anche questi “anelli deboli” sono tra i poveri di oggi. Tra i più poveri, perché poveri di socialità. Per fortuna solo una piccola parte di essi “torna alla realtà” con atti di drammatica e irrazionale violenza; ma tali episodi indubbiamente sono in crescita ed hanno sempre più spazio nei media e nel web. L’antidoto non è mai facile da trovare in fenomeni sociali di una tale ampiezza, ma questa volta credo che sia a portata di mano: è la semplice realtà, che si manifesta all’altro come relazione. Genitori, educatori, fratelli, sorelle, fratellastri, amici, conoscenti… Tutti possono essere l’antidoto giusto alla violenza. Il mondo web è un mondo ricchissimo di relazioni, per chi sa viverle, ma estremamente povero di relazioni reali. Credo di essere facile profeta affermando che la povertà di relazioni è la causa prima delle stragi di massa di questi mesi.

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