Analisi di un colpo di Stato

Le fasi che hanno portato all’intervento militare e le prospettive del popolo thai ora che la situazione è rientrata nella normalità. Per comprendere come la mentalità e i parametri occidentali siano distanti dalla logica politico-sociale della Thailandia
Militari che scattano una foto

Mi hanno chiamato due amici da Bangkok. Alla domanda: «Come state?», ridendo mi hanno risposto: «Benissimo», continuando poi: «Non ci sono più scontri per le strade come nei mesi scorsi ed ora c’è pace: avrebbero dovuto arrivare mesi fa». Inutile chiedere: «Chi?»: sono i militari, col colpo di Stato attuato il 22 maggio.

I morti di questi ultimi sei mesi sono, ufficialmente, 28 e i feriti circa 700, ma da quel giorno, grazie ai “paladini della monarchia e del popolo”, come qualcuno ama chiamarli, si è smesso di morire a causa della politica. Tacciono le armi, le accuse, le liti e si è ritornati alla vita normale. Via i palchi che intralciavano il traffico con qualche proiettile di mortaio anomalo tra la gente.

Nei giorni scorsi tanti amici e conoscenti in Italia mi esprimevano il loro dispiacere per il colpo di Stato, avvenuto in Thailandia due giorni dopo l’entrata in vigore della legge marziale. Per la mentalità occidentale, già la legge marziale è una cosa grave e un colpo di Stato è la cosa più terribile che possa accadere in una nazione democratica. Tra gli amici di vari nazionalità, tanti la pensano nello stesso modo, soprattutto chi conosce solo l’Occidente. Chi ha vissuto in Thailandia ha un’opinione un po’ diversa. Ormai la storia moderna del “Paese degli uomini liberi” conta 13 colpi di Stato: non tutti senza spargimento di sangue e non tutti portati a termine con questa “ragione di Stato” e nella logica politico-sociale a favore dei più deboli: si doveva porre fine a una lotta che andava avanti da circa un anno, ma che ha visto gli ultimi sei mesi davvero difficili per tanti cittadini e di conseguenza per l’economia del Paese.

Personalmente ho sperimentato quattro cuop d’Etat durante la mia permanenza in questo splendido Paese e sapevo che stavolta, dato il clima politico, non era possibile andare avanti senza l’intervento dei carri armati: da tempo si era arrivati a un vicolo cieco davvero pericoloso. Soprattutto per via della corruzione.

Nella capitale thailandese e in tutto il Paese da giorni tutto è tornato tranquillo: i militari hanno provveduto a requisire, in appartamenti e sedi dei manifestanti, armi di vario tipo, tra cui alcuni lancia-granate M79: un’arma letale, costruita nel 1961 negli Stati Uniti per essere utilizzata nella guerra in Vietnam e largamente adoperata durante i vari conflitti politici in Thailandia (e non solo): è estremamente pericolosa, perché piccola e facile da nascondere anche in mezzo alla folla.

Al momento solo alcuni piccoli gruppi sporadici di manifestanti hanno tentato di inscenare qualche protesta, ma senza risultati. Ieri notte sono stati dispiegati 1300 soldati al Monumento della Vittoria (importante monumento nazionale ma anche snodo stradale) per far desistere chiunque avesse intenzione di manifestare o bloccare il traffico. Alcuni studenti alla Thammasat University, storico luogo delle manifestazioni contro i militari, hanno tentato qualche manifestazione ma anche qui senza risultato.

In genere, davanti ai grandi magazzini, al famoso Central World finalmente riaperto, è diventata moda, quasi “scaramantica” fare un selfie con i militari, armati fino ai denti (le armi non sono però munite di caricatori): per i turisti occidentali è una cosa nuovissima poter posare con i militari per le strade della capitale o di Chiangmai: si vedono spesso accanto alle camionette militari divertiti che stanno al gioco! Solo per scaramanzia? Forse anche per un “senso di protezione”, di ritorno alla normalità, dopo tanti scontri politici. In Thailandia anche questa è “normalità”.

Per riassumere gli eventi in questi ultimi giorni: dopo l’entrata in vigore della legge marziale il 20 maggio, il governo ha chiamato immediatamente tutte le fazioni politiche per discutere la situazione e trovare, insieme, una soluzione: sette diversi gruppi che nell’ultimo anno si sono disputati la piazza, il Paese e l’economia. Ma gli incontri sono andati a vuoto; consultazioni senza nessuna soluzione all’orizzonte, come era prevedibile, del resto. È emerso un dato di fatto: posizioni impossibili da conciliare. I sette gruppi hanno continuato a “urlarsi” accuse anche davanti al generale Prayuth Chan-ocha e ai suoi più stretti collaboratori, proprio come si fosse ancora sui palchi e nelle strade. I militari hanno tentato invano una mediazione politica, per due giorni.

Vista la situazione (del resto già risaputa e monitorata attentamente dai militari nei mesi scorsi), i generali hanno proceduto col fermo dei presenti. Era l’inizio del colpo di Stato, auspicato, chiesto, invocato da mesi da una parte della popolazione thailandese. Nelle ore successive sono stati prelevati un buon numero di politici protagonisti della scena politica degli ultimi anni: poi è stata fornita una lista di personaggi che dovevano presentarsi al Consiglio di sicurezza nazionale entro 24 ore. In tutto si parla di circa 140 persone: esponenti politici e non di dubbia onestà che in questi mesi sono stati accusati pubblicamente di corruzione. Non tutti, naturalmente, si sono presentati alla convocazione. Si pensa che alcuni si nascondano nello Stato più vicino: la Cambogia. Anche l’opposizione è stata azzittita: ma è noto che i militari siano dalla parte del partito democratico, principale protagonista della lotta contro il “sistema Thaksin”: un sistema di corruzione che ha devastato l’economia thailandese negli ultimi anni.

Come si stanno muovendo i militari? Per prima cosa, è iniziato il pagamento delle quote del riso ai contadini, auspicato e atteso da mesi. Mossa intelligente ma davvero necessaria, in quanto significa, per molti contadini, la sopravvivenza.

Altre mosse: la rimozione di segretari e sottosegretari dei ministeri importanti, oltre a comandanti di polizia coinvolti nel giro di corruzione del precedente governo o legati alla famiglia Shinawatra. Anche qui: una lunga lista che il generale Prayuth ha avuto tempo di compilare nei mesi scorsi solo ascoltando quanto veniva divulgato sui palchi. Non solo accuse infondate, perciò: le piazze sono state trasformate, per un anno circa, in autentiche “scuole di politica” con tanto di documentazione accurata riguardo la corruzione. Perché queste rimozioni anche di alti ufficiali di polizia? Per il semplice fatto che non era previsto finora nessun controllo sull’azione del governo, mancava la possibilità di denunciare colpevoli di corruzione e di poterli vedere giudicati da un tribunale.

Si passerà ora alla riforma del sistema legislativo, un passo obbligato e auspicato da tanti, per preparare le future elezioni. Il generale Prayuth non ha intenzione di restare al potere a lungo: ha esplicitamente dichiarato: «Quanto basta per riformare il Paese, ricominciare il cammino del progresso della nazione e ristabilire un clima d’unità nazionale tra tutte le forze politiche». Lui e gli altri generali non intendono lasciare solo nelle mani di pochi e corrotti nemmeno l’azienda che gestisce il petrolio nazionale, la potente PTT – solo per citare un caso, il più eclatante -, gestita interamente dalla famiglia Shinawatra. Il generale Prayuth vuole vederci chiaro: perché il prezzo della benzina dell’azienda petrolifera nazionale è più caro della concorrenza quando la Thailandia produce e raffina il proprio petrolio? Questa e altre domande molto spinose venivano urlate da mesi nelle piazze e sui giornali, e il Generale Prayuth vuole dare riposte chiare e rivolte alla nazione.

Ha aggiunto alla stampa: «Non potevo starmene fermo a guardare la nazione che andava in rovina: ho un debito con tutto il popolo thai e devo adempiere a questo debito, per il bene di tutti». Speriamo vivamente che vi riesca. Il tempo corre veloce e dall’estero si richiede un ritorno alla democrazia. Alle potenze straniere che amano entrare nelle questioni nazionali della regione, con parametri prettamente occidentali, Prayuth ha riposto: «Questa è una questione prettamente thailandese, e sarà risolta del popolo thai, non da altri».  Non sarà un cammino facile e indolore: ma c’è speranza che qualcosa di nuovo possa nascere per il bene del popolo.

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