Alzheimer ed esercizio mentale

La demenza è la priorità sanitaria mondiale del XXI secolo. Mantenere il cervello allenato durante tutta la vita può ridurre i sintomi della malattia. Lo affermano due ricercatori californiani
Alzheimer

«Per me, occuparmi di questo libro significa confrontarmi con una paura: quella di perdere la memoria, la mia identità, la mia dignità, ammalandomi di Alzheimer. È una paura che ho da tanto e che, a differenza di altre, è sorta silente dal mio vissuto, e pian piano ha trovato spazio per crescere molto in sordina, alimentata dall’esperienza che la mia famiglia ha fatto grazie alla nonna Lidia che, dagli ottant’anni, ha cominciato a essere affetta da una forma di demenza che ha segnato con forza l’esperienza e la storia della nostra famiglia».

Così comincia l’ultimo libretto della serie Passaparola, uscito in questi giorni da Città Nuova. L’autrice, Tamara Pastorelli, descrive l’effetto devastante e destabilizzante che può avere in una famiglia la malattia di Alzheimer, demenza neurodegenerativa, progressiva e invalidante, che colpisce il cervello.

Proprio la demenza, nelle sue varie forme, è stata dichiarata priorità sanitaria mondiale del XXI secolo, perché per ora non ci sono cure specifiche efficaci, mentre l’impatto sociale, specialmente sulle famiglie dei malati, è estremamente rilevante, anche in termini di costi.

Una delle caratteristiche della malattia di Alzheimer è il formarsi nel cervello di “placche amiloidi”, con conseguente distruzione dei neuroni. Una recente piccola buona notizia è che alcuni ricercatori del Lawrence Berkeley National Laboratory in California hanno scoperto che il cervello delle persone abituate nella vita ad affrontare situazioni stimolanti dal punto di vista cognitivo riesce ad aggirare le placche e mantenere comunque una buona comunicazione tra i neuroni.

Rimane da capire perché questo non funziona con tutti i malati, ma il messaggio è chiaro: durante tutta la vita, compresa la vecchiaia, bisogna mantenersi il più possibile attivi e stimolati dal punto di vista cognitivo. In questo modo il cervello mantiene una plasticità tale da riuscire ad aggirare l’ostacolo placche permettendo una vita praticamente normale.

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