Allarme dall’aggressione di Catania

Segnali non buoni dalla città etnea: il pestaggio di tre ragazzini egiziani da parte di una banda di locali non è il primo episodio del genere nella zona. La mancanza di una strategia governativa contro il razzismo
San Cono

L’aggressione dei tre ragazzini egiziani in provincia di Catania rientra in una situazione che purtroppo è abbastanza ordinaria. Abbiamo sentito più volte la triste descrizione dell’aggressione e per fortuna è giunta anche la notizia dell’esito positivo dell’intervento chirurgico a cui è stato sottoposto uno dei ragazzini che è stato più volte colpito alla testa.

 

I responsabili del pestaggio sono stati tutti individuati e fermati grazie al video che ha girato uno dei giovani egiziani. Non è la prima volta che si verifica un caso del genere e solo la stampa locale ne parla e solo a volte. Stavolta è accaduto in un piccolo paese vicino Caltagirone, a luglio è successo ad Acireale, prima ancora a Catania e in altri posti.

 

È difficile dare una chiave di lettura di questi episodi. La cronaca giudiziaria vuole condurre la nostra attenzione sul movente (razzismo o altro?) mentre dovremmo avere a disposizione molti altri elementi per capire cosa sta succedendo in questi mesi in tema di immigrazione. Ne prendiamo alcuni per una veloce riflessione.

 

Il governo non sta attivando nessuna linea politica, che in tema di immigrazione non c’è mai stata. Il presidente Mattarella fa quello che può, esprimendo una sua visione, che viene immediatamente arginata come prospettiva personalistica e non certo come atto di indirizzo rivolto all’intero Paese. Così è andata lo scorso anno (ad agosto 2015 aveva detto che per affrontare il tema dell’immigrazione occorrono "intelligenza, fermezza e umanità") quest’anno le sue lungimiranti e chiare parole all’inaugurazione del meeting di Comunione e Liberazione sono state immediatamente accantonate anche grazie alla violenta reazione di Salvini: meglio accantonare questi argomenti difficili che suscitano aggressività e rancori piuttosto che trasformarli in spunti di riflessione e di lavoro politico!

 

Gli immigrati che arrivano in Italia vengono accolti sempre più spesso in centri molto numerosi (e tutti sappiamo che le grandi concentrazioni di persone non sono mai una soluzione intelligente); le località che li accolgono sono più o meno le stesse, ossia lì dove ci sono cooperative che aprono i centri di accoglienza, li trasferiscono, li ampliano, ne aprono altri, spesso con una girandola di nomi e prestanomi a cui si fatica a stare dietro. Cioè in posti dove verificare le autorizzazioni e controllare i centri di accoglienza è faticoso e complicato soprattutto se le forze dell’ordine sono impegnate sul fronte degli sbarchi, delle identificazioni, dei trasferimenti, dei collocamenti nelle strutture, ecc.

 

Molto difficile quindi dedicarsi all’integrazione lì dove non c’è nemmeno accoglienza. I ragazzi egiziani aggrediti vivono in un centro per minori attivato in una vecchia villa situata in aperta campagna in una zona lontana dal centro abitato (e questo non corrisponde assolutamente ai criteri stabiliti dagli standard della Regione Sicilia, eppure questo centro ha aperto e ci stanno almeno 25 ragazzi). Sono isolati dal mondo siciliano che li circonda e li costringe comunque ad adattarsi a regole antiche che nessuno può violare. Non sappiamo, in questo caso, quale sia l’episodio accaduto a monte, ma in altri casi l’aggressione era scaturita da una chiacchierata con una ragazza italiana o da altre circostanze futili.

 

Soluzioni? Le più ovvie e semplici: attivare l’accoglienza in piccoli centri in ogni città e paese; stabilire il numero complessivo dei migranti da ospitare in base alla popolazione e al reddito locale; definire che il numero di persone accolte (temporaneamente) in ogni singola struttura non può essere superiore a dieci persone.

 

Come abbiamo la scuola e la guardia medica, l’autobus e il parco pubblico, così ci devono essere i centri di accoglienza che possono diventare una cosa normale, un servizio che la società offre a chi è nel territorio (a doppio senso: nell’interesse di italiani e stranieri).

 

Non condivido affatto quanto Milena Gabanelli ha scritto su un paginone del Corriere della Sera di recente (e lo aveva già anticipato in una puntata di Report nei mesi scorsi), ossia di utilizzare le caserme dismesse consentendo allo Stato grossi risparmi. Non sono i grandi e isolati agglomerati di persone che favoriscono accoglienza e integrazione: la storia (e la cronaca recente dei fatti di Francia e Belgio) ce lo dimostrano.

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