Adozioni internazionali nonostante il lockdown

La storia di due genitori adottivi che hanno vissuto la loro quarantena in Colombia, in attesa del loro bambino. «Abbiamo avuto la possibilità di tornare a casa quando si iniziavano a prospettare le chiusure per la pandemia, ma avremmo dovuto farlo senza nostro figlio».
Adozioni, foto AP/ Fernando Vergara (solo emblematica, non relativa a persone indicate nell'articolo)

Quando ancora non si prevedeva il drammatico scenario della pandemia, lo scorso febbraio, Silvia e Roberto (i nomi sono di fantasia per tutelare la loro privacy) partono per la Colombia. Finalmente hanno la possibilità di incontrare loro figlio, completando il percorso di adozione internazionale che prevede, il soggiorno nel Paese di provenienza del bambino.

L’apertura all’accoglienza è un gesto straordinario: è lo strumento indispensabile per restituire il diritto alla famiglia a ogni minore, la cui infanzia è segnata dal trauma dell’abbandono. «Juan Carlos (nome di fantasia) ha 10 anni e il suo passato è parte di lui: io non posso cancellarlo, come non voglio cancellare la sua cultura, ma è importante che abbia un affetto per essere sereno», condivide Silvia. L’amore di una famiglia crea le condizioni favorevoli per affrontare e rielaborare le ferite. «Vorresti accoglierli tutti questi figli perché hanno sofferto, non sono mai stati amati. Noi abbiamo atteso tanto per dare una famiglia ad un bambino. La chiamiamo scelta d’amore».

Durante il soggiorno della coppia in Colombia, l’emergenza Covid-19 dilaga e presto diventa globale: incremento esponenziale di contagi, crescita preoccupante del numero di vittime, sistemi sanitari al collasso. Vengono prescritte norme di sicurezza, confinamento obbligatorio e chiusura dei voli internazionali. Davanti agli ultimi due voli disponibili e la chance di rientrare in Italia, la scelta di Silvia e Roberto non vacilla: «Abbiamo messo l’amore per il nostro bambino e per la nostra famiglia al primo posto, e deciso di restare».

Nonostante la determinazione, i problemi non mancano. Di solito il soggiorno in Colombia può durare dai 40 ai 60 giorni, ma per la coppia il limite viene parecchio superato. Il biglietto aereo è rinviato 2 volte e il protrarsi del soggiorno causa spese onerose e aggiuntive. «In più mio marito non ha percepito stipendio nel periodo di assenza dal lavoro e nemmeno cassa integrazione», precisa Silvia. La referente dell’ente per le adozioni internazionali AFN in Colombia, Olga Maria Velasquez de Bernal, trova per la famiglia una sistemazione tranquilla a Villa de Leyva, a tre ore da Bogotà, ben più economico rispetto all’albergo. Così in una tenuta solitaria, Silvia e Roberto vivono la loro quarantena nell’attesa di poter abbracciare Juan Carlos.

Come referente AFN all’estero, Olga Maria organizza logistica e tutto ciò che riguarda il processo di adozione in qualità di avvocato, fornendo puntuale sostegno alla coppia perché non si senta sola e disorientata. «Con un messaggio, una chiamata, Olga Maria, insieme con Maria Catalina, sua stretta collaboratrice, trova sempre il modo di poterci supportare, sia psicologicamente che nelle necessità della vita quotidiana, come fare la spesa». – Spiegano Silvia e Roberto. – Supporto costante arriva anche dalla sede territoriale AFN in Calabria dove la coppia si è preparata all’adozione e da quella centrale di Roma. «AFN supporta sempre le coppie quando sono all’estero, ma nel caso di questa coppia, abbiamo avuto parecchio contatto per la situazione anomala della pandemia che ha richiesto un’ulteriore vicinanza. Per qualsiasi cosa poteva contare su di noi. E’ nel nostro stile e nelle nostre procedure». – commenta Mariella Rende, incaricata della sede calabrese. «Mariella, la sua collaboratrice Manuela e la psicologa Maria Rosaria, sono sempre state disponibili per ogni necessità, dice Silvia. Ci sentivamo per un consulto psicologico e anche semplicemente per condividere come stavamo».

Olga Maria rilascia anche interviste radiofoniche e pubblica alcuni articoli sulla stampa locale portando alla attenzione pubblica la necessità che nonostante la pandemia i processi di adozione possa concludersi per le coppie nel migliore dei modi. «Ci sono situazioni specifiche che sono state fortemente influenzate dalle misure di isolamento. – Afferma Olga Maria – Esse richiedono attenzione speciale e soluzione rapida: l’adozione ripristina i diritti fondamentali dei bambini e il lavoro non deve essere sospeso in nessuna circostanza».

Finalmente per Silvia e Roberto giunge il momento di incontrare il loro figlio personalmente per cui con un taxi autorizzato si recano all’ICBF – Istituto Colombiano de Bienestar Familiar. Un momento che rimane impresso profondamente nel loro cuore: «Vedere il nostro bimbo con guanti e mascherina, varcare la soglia di quella stanza, è stata una emozione indicibile. Gli abbiamo detto ‘Benvenuto’, Juan Carlos». – La voce di Silvia diventa più flebile: «Nostro figlio era felice, finalmente poteva incontrarci dal vivo, nonostante ci vedessimo solo dagli occhi! “Mamma ti amo” e dopo l’ha detto anche a mio marito».

Con la collaborazione delle autorità coinvolte, l’autorità centrale italiana CAI, l’autorità centrale colombiana ICBF, l’Ambasciata italiana a Bogotà e supportata dall’equipe AFN in Colombia e dall’Italia, la coppia riesce a concludere l’adozione nonostante il lockdown e a rientrare in Italia con un volo speciale, dopo quattro mesi.
Quella di Silvia e Roberto è un’esperienza drammatica che si è conclusa bene. Lo stesso ci auguriamo per le altre coppie e le centinaia di bambini che a causa della pandemia restano bloccati all’estero. Bambini di Brasile, Colombia, Vietnam, Filippine, Lituania, e altri Paesi, figli di famiglie adottive italiane pronte ad accoglierli concretamente ma che ancora attendono di abbracciare. Occorre agire tempestivamente sostenendo le famiglie che con coraggio e determinazione sono disposte ad affrontare non pochi sacrifici per attuare una scelta che va ben oltre l’ambito familiare.

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