Accade sul confine francese

Tensione ed episodi da chiarire sulla gestione dei flussi di migranti senza documenti provenienti dall'Italia
AP Photo/Lionel Cironneau

Screzi no. Umiliazioni, sì certo, vere e proprie umiliazioni quelle che subiscono i malcapitati che vorrebbero attraversare il confine verso la Francia, ma che i gendarmi approfittano per scaricare loro addosso le proprie tensioni.

Abbiamo scelto di riportarne alcune a cui abbiamo assistito. È quasi sera e il confine di Ponte San Luigi per chi da Menton entra verso Ventimiglia non è presidiato. Né dalla parte francese né tantomeno dalla parte italiana. Poche auto poco movimento al bazar per acquistare sigarette e bottiglie di Pastis.

Scendiamo guardando volentieri il paesaggio abbellito dai cespugli di mimosa che ingialliscono a chiazze la montagna. Le case delle frazioni di Mortola e Grimaldi e il mare che si tinge di rosso intenso per il sole che viene inghiottito dall’acqua, sono una cartolina dalla Costa Azzurra impagabile. Immagini di una natura che lascia trapelare l’annuncio della primavera ormai prossima.

Poi improvvisa, superata una curva, appare un ‘altra immagine, consueta pure questa. A bordo strada stanno scendendo verso Ventimiglia un gruppo di ragazzi di colore. Sono dieci giovani hanno zaini e borsoni. Accostiamo e domandiamo se serve un passaggio. Sorridono contenti e volentieri salgono. Sono stati “scaricati” dalla gendarmeria in Italia, perché fermati a Menton senza documenti.

In auto ci raccontano che sono arrivati in Francia da Milano e da altri paesi della Lombardia. Marcelin ha ventidue anni, Dominic e Hassan venticinque, vogliono restare in Francia.

Desmond invece di anni ne ha ventotto e vuole andare in Spagna.  Hanno fame e sete, desiderano farsi una doccia e riposarsi. Li accompagniamo al campo Roya della Croce Rossa di Roverino. Tre viaggi con l’auto e sono tutti accolti nel campo.

Al bar Hobbit, quest’oggi invece Delia aveva aiutato tre donne senegalesi   a equipaggiarsi per ritentare un’altra volta la traversata. Passeggini e pannolini, latte e biscotti. Indumenti adatti  per le  mamme. Charles, invece, nel bar chiede informazioni: ci spiega che la gendarmeria l’ha fermato, gli ha  strappato  il certificato di nascita e poi l’ha riportarlo in Italia.

Tra i due confini c’è un container dove la gendarmeria chiude i migranti. Charles racconta di essere stato trattenuto per un notte senza cibo, acqua e sul pavimento un gendarme aveva buttato diversi secchi d’acqua in modo che non si potesse sedere o sdraiare.

Altri giovani come lui a cui erano stati sottratti i documenti quando hanno chiesto di riaverli sono stati presi a schiaffi in faccia.  È di pochi giorni fa il racconto di due autisti di un pullman della compagnia Flixbus  che con un pullman partito da Firenze verso Barcellona, a pochi chilometri dal  confine nel  tratto autostradale della Costa Azzurra, è stato fermato come di consueto all’altezza del paesino di La Turbie per il controllo passaporti.

Quando capita che vengano trovate delle persone con documenti non in regola o comunque sospetti, queste vengono fatte scendere e prese in consegna dalla polizia mentre il bus prosegue il viaggio. «Ma sabato sera raccontano gli autisti i gendarmi erano nervosi, uno in particolare urlava contro tutti. Vengono trovate quattro persone, tutte pachistane, probabilmente parte di uno stesso nucleo famigliare, con dei documenti privi dei visti necessari per entrare in Francia. Siamo rimasti fermi per diverse ore e nel bus c’era anche una signora con un bambino di due anni che era spaventato, prosegue l’autista. Siamo stati sequestrati. Alle due e mezza siamo stati scortati fino all’aeroporto di Nizza. I passeggeri sono stati fatti scendere per poi entrare in una sala mentre io e il mio collega siamo stati ammanettati e portati in un altro ufficio.

Ci hanno perquisito e tolto tutti gli effetti personali, anche i cellulari. Ci hanno dato un foglio dove era scritto che potevamo fare una telefonata ma non ci è stato concesso. Per fortuna avevamo avvisato i nostri colleghi del gruppo Whatsapp. A quel punto è iniziato l’incubo. Chiusi in due celle distinte, non potevamo neppure parlarci. Né acqua né cibo. Poi all’alba di nuovo le manette e ci hanno caricato su un furgone e portati in una caserma. Sono rimasto fino alle 15 in una cella che puzzava di urina, neppure un bicchiere d’acqua da bere.

Quando ci hanno rilasciato ci hanno spiegato che eravamo sospettati di aver favorito l’immigrazione illegale, roba da pazzi, mica siamo poliziotti, non siamo in grado di capire se un passaporto o un visto sono validi». Soltanto nel pomeriggio del giorno successivo i due autisti sono stati liberati.

 

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons