Abusivismo e dissesto idrogeologico, cambiare cultura

La cementificazione senza regole, tollerata con la pratica dei condoni, è una caratteristica del nostro Paese che va curata con una visione che vede nelle città e nei territori i luoghi privilegiati delle relazioni sociali. Il parere dell’urbanista Paolo Berdini
Abusivismo e dissesto idrogeologico Foto Alessandro Garofalo/LaPresse 26-11-2022 Ischia

Abusivismo edilizio e dissesto idrogeologico. L’ultimo rapporto Ispra ci ha detto nel 2021, in un Paese ancora piegato dal Covid, abbiamo avuto il record di cementificazione, 19 ettari al giorno, con effetti devastanti sulla tenuta idrogeologica e ambientale del nostro territorio. Le immagini del disastro di Ischia ci devono interrogare e far alzare lo sguardo oltre la responsabilità del singolo caso per capire cosa è accaduto in generale in Italia e come possiamo rimediare a tale danno. Ne abbiamo parlato con il noto urbanista Paolo Berdini, autore di testi importanti sul tema come “Breve storia dell’abusivismo in Italia” e “La città in vendita”.

Il fenomeno della cementificazione e dell’abusivismo è un caso solo italiano?
La tragedia di Ischia ha avuto un titolo in prima pagina del quotidiano francese Le Monde. Il 3 dicembre scorso, in fondo pagina con l’immagine della villetta in bilico sul precipizio, si leggeva: Ischia. L’”abusivismo” e le tourisme en accusation. Il sostantivo abusivismo non è stato tradotto, come si vede. Nella civile Francia come negli altri Paesi dell’Europa del nord non esiste l’abusivismo. Si costruisce sulla base di autorizzazioni comunali e nessuno si sogna di realizzare edifici senza permesso. La pianificazione urbanistica è un patto sociale riconosciuto e accettato.

Molte volte però si parla di abusivismo di necessità che la politica è chiamata a condonare con realismo. È così?
Il primo condono edilizio avvenne nel 1985 (governo Craxi). Si trattava di sanare molti casi di abusivismo di necessità compiuti negli anni del boom economico dalle famiglie più povere. La legge affermava solennemente che sarebbe stato il primo e ultimo condono poiché bisognava tornare alla legalità e al governo del territorio ed erano previsti poteri efficaci per demolire o acquisire al demanio pubblico tutti gli eventuali nuovi abusi.

Evidentemente non è andata in questo modo. Cosa è accaduto ancora?
Dopo nove anni, nel 1994 fu approvata la seconda legge di condono (governo Berlusconi) perché “era difficile attuare le politiche di demolizione”. Dopo altri nove anni, nel 2003 (governo Berlusconi), altro condono per sanare gli altri abusi. Fino alla norma “Salva Ischia” del 2018 (governo Conte).

Di che numeri parliamo in termini di pratiche di condono gestite?
Con il primo condono  furono presentate circa 3.900.000 domande di sanatoria. Per il secondo condono raggiungiamo 300.000 domande. Per il terzo 400.000. Insomma fino al 2003 sono state presentate oltre 4 milioni e mezzo di domande che in termini di edifici raggiungono oltre 450 mila interi edifici, 7.434 all’anno, 20 al giorno. Il numero degli alloggi è di oltre 1 milione e 700 mila. Circa 6 milioni di italiani vivono pertanto in aree urbane abusive.

È una prassi che riguarda solo alcune aree geografiche?
Se si guarda la distribuzione geografica del fenomeno si vede che nelle quattro regioni del sud si concentra il 49% del totale. Se a queste quattro aree geografiche si aggiunge il dato relativo alla regione Lazio, si arriva al 64% del fenomeno abusivo nazionale. Esistono dunque due Italie. Quella che rispetta sostanzialmente le leggi e quella che ne fa a meno. Nel nord Italia le richieste di condono hanno riguardato prevalentemente piccoli abusi, chiusura di verande, piccoli ampliamenti o sopraelevazioni, mutamenti di destinazione d’uso. A Roma e nell’intero sud l’abusivismo invece dilaga, realizza quartieri, edifici, manufatti produttivi.

Dove si trovano le radici dell’abusivismo edilizio?
La risposta più convincente si trova nella debolezza dello Stato e nella  mancanza di politiche urbane efficaci. Anche nella Parigi dei primi due decenni del Novecento, ad esempio, la forte immigrazione e l’impoverimento generale della popolazione, furono causa di abusivismo edilizio. Ma lì si seppe riprendere in mano il bandolo della matassa. Furono promulgate leggi che da un lato prevedevano pene severe contro l’abusivismo e finanziavano piani per la costruzione di alloggi popolari. In pochi anni il fenomeno fu debellato. Lo Stato aveva ripreso il controllo del territorio.

Non esistono ragioni strutturali che spiegano questa differenza di politiche urbanistiche?
Dobbiamo riconoscere che è nota a tutti la carenza strutturale del comparto delle abitazioni pubbliche in Italia che è minore delle percentuali degli altri Paesi. Quindi anche questo ha causato l’abusivismo perché mancavano case a basso prezzo. Ma dagli anni ’80 l’abusivismo di necessità era scomparso. Un Paese più ricco e più equilibrato poteva dunque accettare di cancellare un fenomeno tipico dell’arretratezza economica e sociale come l’abusivismo.

E invece cosa è accaduto?
Purtroppo sembra che la vicenda dell’abusivismo non debba chiudersi mai. Dopo il 2003 ci sono stati almeno due tentativi di approvare la quarta legge di condono. Nel 2018 si è raggiunto lo scopo perché una norma approvata dal governo Conte che riguardava proprio la ricostruzione post terremoto ad Ischia, apre ad una interpretazione legislativa molto abile che di fatto assume la veste di un nuovo condono tombale.

Cosa comporta questo modalità di gestire il territorio?
Mi sembra evidente la tendenza a non tornare alla normalità: i continui condoni generano la speranza diffusa di farla franca. Così si continua a costruire dappertutto, anche in zone a rischio geologico o idraulico. Ogni volta che piangiamo le vittime di questo modo incivile di governare il territorio, dobbiamo tornare alle origini e riflettere sui motivi che non consentono di governare il territorio come in ogni altro Paese europeo.

Quale cambiamento culturale è necessario prima ancora di cambiare le leggi?
A mio parere occorre passare da una concezione individualista dello sviluppo dei territori che è connaturata con l’abusivismo, ad una concezione più evoluta che vede nelle città e nei territori i luoghi privilegiati delle relazioni sociali. I luoghi dove tutti possono usufruire di servizi pubblici efficienti e sicuri. I luoghi dove non si costruisce nelle zone a rischio geologico perché si creano tragici lutti. I luoghi dove la salvaguardia dell’ambiente naturale non è una fastidiosa rinuncia ad altro cemento, ma l’unico modo per combattere il cambiamento climatico. I luoghi, infine, dove si afferma una concezione solidale della vita urbana.

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