A proposito di Iran

Il dissenso al regime di Teheran è sia dentro che fuori dall’Iran. Alla difficile situazione interna iraniana e alle sanzioni statunitensi si è aggiunto quest’anno il Covid-19. E se Trump non venisse rieletto o il regime iraniano crollasse?

«L’Iran dovrebbe essere aggiornato per quanto concerne le relazioni esterne, prendendo esempio da quanto fatto da Emirati Arabi Uniti e Bahreinanche l’Iran può riconoscere Israele». Parole quasi incredibili, soprattutto perché pronunciate da Faezeh Hashemi, iraniana, figlia di un discepolo dell’ayatollah Khomeini ed ex presidente della repubblica islamica, il riformista Ali Akbar Hashemi Rafsanjani (scomparso a 83 anni nel 2017).

Faezeh Hashemi, che vive a Teheran, non è una contestatrice della Repubblica islamica, ma lo è sicuramente dell’attuale regime dove i riformisti non hanno più voce in seguito al prevalere degli ultraradicali che fanno riferimento ai Guardiani della Rivoluzione, i Pasdaran, milizie che possono contare, pare, su 120 mila effettivi e che controllano 90 mila basiji, formazioni paramilitari volontarie alle quali fanno capo 300 mila riservisti.

faezeh-hashemi-foto-di-tasnim-news-agency-per-wikimedia-commonsFaezeh Hashemi, figlia minore di Rafsanjani, è stata deputata (1996-2000) al Majles, l’Assemblea consultiva islamica, e fondatrice della rivista Zan (donna). Dopo la chiusura forzata di Zan da parte del regime, non ha smesso di impegnarsi per il suo Paese, cosa che le ha procurato due arresti (nel 2009 e nel 2011) e una condanna (2012) a sei mesi per propaganda contro lo Stato. A febbraio scorso, in un’intervista trasmessa da Iran International (una Tv con sede a Londra) è stata molto esplicita, affermando tra il resto che se prima della rivoluzione (1979) lo slogan era “un’automobile per ogni iraniano”, ora sembra che la Repubblica islamica ne abbia adottato uno nuovo: “un caso giudiziario per ogni iraniano”. Ma con l’ultima recente affermazione pubblica sul riconoscimento di Israele (8 ottobre scorso) rischia di procurarsi altri guai giudiziari. Lei lo sa, eppure non tace. Sa anche di non essere l’unica voce del dissenso, sia in Iran che nelle numerose comunità e associazioni della diaspora in esilio.

Tra i gruppi interni più o meno controllati, se non minacciati o perseguitati, oltre ai riformisti ci sono sufi, bahai, curdi e azeri sunniti, ebrei, armeni, yazidi, nomadi, gruppi di civili nelle città e perfino qualche mullah dissidente (solo per fare qualche esempio). Tra gli esuli della diaspora ci sono mojahedin, monarchici, democratici, sostenitori dei diritti umani, ecc.

E fra tutte queste voci, quelle delle donne emergono in modo particolare e sono sempre più numerose, determinate e plurali. Solo per citare tre nomi autorevoli oltre a quello di Faezeh Hashemi, ci sono il Premio Nobel per la pace Shirin Ebadi, la presidente del Consiglio nazionale di resistenza Maryam Rajavi, e il Premio Sakharov per la libertà di pensiero Nasrin Sotoudeh, che sebbene in carcere con una condanna a 38 anni e 148 frustate, continua a “parlare” con i suoi scioperi della fame in difesa dei diritti umani, e di quelli delle donne in particolare.

Il successore di Khomeini come Guida suprema del Paese, l’ayatollah Ali Khamenei, è anziano (classe 1939) e malato: sono in molti a chiedersi se il suo successore sarà designato dal clero sciita o imposto direttamente dai vertici dei Pasdaran. E se la Repubblica islamica implodesse per l’insofferenza della maggioranza oppressa, affamata, disoccupata e vittima di una pandemia ormai aldilà di ogni controllo (113.500 morti al 1° ottobre secondo i mojahedin, invece dei 36 mila ufficiali)?

E se l’intollerante politica Usa verso l’Iran dovesse cambiare radicalmente qualora Trump non venisse rieletto (per la gestione della pandemia negli Usa, per esempio)? Che ne sarebbe della dura contrapposizione che sta ferocemente dividendo il Medio Oriente (e non solo) in due schieramenti alla ricerca di un predominio ad ogni costo l’uno sull’altro? Cioè, da una parte Turchia, Qatar e Iran sostenuti dalla Russia di Putin, e dall’altra Emirati, monarchie del Golfo, Egitto e Israele sostenuti dagli Usa di Trump; con tutte le altre guerre e conflitti collegati in quella che papa Francesco ha indicato nel 2014 come “Terza guerra mondiale a pezzi”.

Nella lotta a tutto campo per il potere e la supremazia, insomma, la contrapposizione al regime iraniano dei mullah ha finora giocato il ruolo del catalizzatore. Ma il Covid-19 sta mischiando le carte: riuscirà a fermare i progetti di potere o peggiorerà le cose?

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