A proposito di dimissioni: incentivi a chi non le da

Perché in Italia tutti mantengono saldamente le loro posizioni nonostante scandali, processi comportamenti poco consoni al ruolo? Bassa moralità o leggi compiacenti? I costi per il nostro Paese
Parlamento2

Una sua foto a torso nudo inviata da un deputato Usa, sposato, ad una nuova fiamma è stata sufficiente per farlo tornare in poche ore a vita privata. Un uomo politico tedesco, accusato di aver copiato testi altrui nella sua tesi di dottorato, con l’aiuto di un esponente del suo stesso partito, ha lasciato in breve tempo l’incarico. Un ministro francese, ospite di un personaggio politico tunisino, attaccata dai giornali, ha rassegnato le dimissioni.

 

Le dimissioni sono un aspetto fondamentale della democrazia. Qui, il potere non è appannaggio di chi è più forte e deciso degli altri nell’impadronirsene e nel tenerlo in pugno. Al contrario, il servizio ai cittadini è più importante del nome di chi lo svolge. Questi è sempre un servitore provvisorio, non solo perché gli incarichi hanno una scadenza, ma anche perché ci si aspetta che si ritiri non appena la sua persona possa diventare un ostacolo: qualche ombra sulla sua onestà potrebbe nuocere alla reputazione del Paese, o magari sarebbe deprimente per le forze dell’ordine vedere che i politici per primi non rispettano le leggi. Per giustificare le dimissioni non è richiesto che un procedimento giudiziario sia arrivato fino alla condanna. Certo, non può bastare la prima notizia che esce sui giornali (troppo facile sarebbe allora far cadere chiunque), ma è sufficiente che le accuse sembrino sufficientemente fondate.  

 

Se questo è vero, come mai il nostro costume politico in fatto di dimissioni è così diverso da quello di oltralpe? Penso prima di tutto al Presidente del consiglio, che è stato più volte seriamente coinvolto – il che non vuol dire condannato – in episodi di corruzione, di favoritismo, di interesse privato nell’approvazione di norme in fatto di processi. Si può aggiungere, anche, il caso del presidente della Camera, che è fondatore e leader di un nuovo raggruppamento politico, ma continua a ricoprire un incarico di garanzia, che lo vorrebbe super partes. Il terzo caso che vorrei citare è quello di un senatore pugliese, ex assessore alla sanità nella giunta Vendola, che è inquisito per presunti illeciti, ma non intende rinunciare alla protezione garantitagli dal fatto di essere oggi un parlamentare.

 

Senz’altro, verrebbe da pensare, la moralità di noi italiani è molto più bassa di quella di americani, tedeschi o francesi. Può essere, ma esistono anche altre spiegazioni. Per rendercene conto, permettetemi di portare il discorso su un terreno altrettanto scottante che mi tocca ancora più da vicino: quello dei favoritismi nei nostri concorsi universitari, vinti troppo spesso da portaborse, amanti o compagni di partito, a spese di concorrenti che invece, nella loro ingenuità, pensavano di poter andare avanti nella carriera dedicandosi alla ricerca scientifica. Anche qui il confronto con le università americane, britanniche o olandesi è umiliante. Qualche anno fa, però, mi è stato riferito di favoritismi che sarebbero stati compiuti da docenti stranieri trasferitisi nel nostro paese. «Forse allora non siamo geneticamente inferiori!, – mi sono detto. La colpa potrebbe essere del contesto».

 

Contesti diversi creano prima di tutto incentivi diversi. Ad esempio, nel sistema britannico, ma non ancora nel nostro, i dipartimenti universitari vengono finanziati in proporzione alla loro ‘produttività’, misurata dal numero e dal prestigio delle pubblicazioni nelle riviste scientifiche internazionali. E’ chiaro allora che chi proponga di assumere un suo favorito che ‘non produce’ avrà la strada sbarrata. Il secondo elemento che caratterizza un contesto è il modo di pensare, i valori condivisi, di coloro che osservano i fatti. Qui sta la nostra seconda debolezza: troppo spesso, a riguardo di un professore che ‘sistema’ allievi, parenti e amici, a scapito della qualità, non è raro sentir dire, con malcelata ammirazione: «quello lì è uno potente». 

Anche per le dimissioni è un po’ la stessa cosa.

 

Quali sono qui gli incentivi? Prima di tutto le norme della legge elettorale. Se questa permette davvero agli elettori di scegliere tra candidati diversi, un politico poco limpido rischia di non essere eletto e di far perdere voti al suo partito. La nostra attuale legge elettorale, invece, mette i partiti politici totalmente nelle mani dei loro vertici, che hanno il potere di compilare le liste bloccate di candidati, che gli elettori dovranno prendere o lasciare. Gli esponenti di partito, parlamentari in testa, devono allora rispondere soprattutto ai loro superiori, da cui il loro futuro dipende. Con il rischio che le dimissioni dipendano dalla capacità degli accusati di ricattare i loro leader.

 

A questo punto l’unica speranza sta nei valori della gente comune. Se questi fossero pronti a punire i partiti che si presentano con un’immagine poco pulita, alla fine i politici dovrebbero piegarsi. Il guaio è che oggi gli elettori italiani sembrano comportarsi come i tifosi di calcio, che vogliono comunque la vittoria della loro squadra, senza troppo preoccuparsi se prima del gol il loro campione ha dato un’aggiustatina alla palla con la mano, e magari un dirigente della squadra ha pagato l’arbitro per non vedere. Ma la disattenzione alle regole prima o poi un paese la paga, e talvolta anche molto salata. 

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