La fine del lungo secolo americano

Alcune considerazioni nate leggendo la tesi di una studentessa musulmana sciita, di nazionalità americana, sulla veridicità come fondamento della morale e della spiritualità. E guardando come va il mondo. In particolare considerando la patetica diatriba Trump-Musk.
Donald Trump con Elon Musk EPA/FRANCIS CHUNG / POOL

Leggere una tesi guardando come va il mondo
Lunedì prossimo, una mia studentessa, musulmana sciita, discuterà presso l’Istituto Universitario Sophia una tesi dottorale dal titolo intrigante: Ancorati alla Verità: esplorare la virtù della veridicità (sidq in arabo) come il centro della morale e della vita spirituale musulmana.

Mentre in questi giorni ho riletto le 340 pagine di questa ricerca mi sono spesso venute in mente due scene. La prima, è la coerenza fra quanto la dottoranda scrive nel suo lavoro e la vita di educatrice e di testimone fedele della sua tradizione religiosa: e lo posso dire perché la conosco da anni. L’altra, è la patetica e sempre più preoccupante scena mondiale caratterizzata da un crescente numero di fake-news che rendono sempre più difficile decifrare quale sia la verità o, per lo meno, se ci sia una pseudo-verità. Basta pensare, giusto per fare un esempio, all’ennesimo colpo di scena che la seconda amministrazione Trump ci offre in questi giorni: il duello a suon di accuse – nemmeno troppo piacevoli e da persone per bene – che i due tycoon statunitensi si scambiano.

Una situazione che fa a pugni con una scena che abbiamo visto – milioni di telespettatori – in diretta l’8 maggio scorso. Un uomo vestito di bianco, americano di nascita ma sud-americano di adozione, è apparso davanti a migliaia di persone in una delle piazze più grandi del mondo e per circa due minuti è rimasto in silenzio. Non penso che qualcuno di noi possa sinceramente ricordare un esempio del genere in tempi recenti offerto da un cosiddetto grande della terra.

Leone XIV, appena eletto, ha ascoltato la folla, ma non solo le voci, anche il respiro. Come si sa, un papa, oltre che un leader spirituale, è anche, soprattutto dopo gli ultimi pontefici, chiamato ad essere uno statista.

Un contrasto impressionante con quanto continuiamo a vedere e ad ascoltare ogni giorno sui social e sui canali televisivi. Quello che sempre più appare chiaro è che mancano punti di riferimento credibili a livello mondiale per risolvere crisi che paiono irrisolvibili. E che più che con le urla, le invettive, le armi, i droni, si potrebbero risolvere partendo dal silenzio o, se si vuole, dall’ascoltare: un sostantivo e un verbo desueti. È in questo contesto che si comprende il senso di sgomento di milioni di persone alla morte di papa Francesco. Non era morto solo un papa, ma era scomparso un punto di riferimento credibile. Il papa pan-americano sta promuovendo con uno stile, che potremmo definire diametralmente opposto a quello del suo predecessore, la stessa credibilità.

È esattamente quello che oggi manca ai grandi del mondo. Per decenni, certamente un secolo se non qualcosa di più, gli Stati Uniti sono stati un punto di riferimento, sia pure con debolezze, incoerenze ed errori, inevitabili in qualsiasi società umana della storia. Oggi, però, quel punto di riferimento appare tramontato.

La patetica diatriba Trump-Musk ha messo di fronte due magnati, di cui uno ha in mano le sorti del mondo e l’altro lo spazio che lo circonda. Ma le accuse urlate reciprocamente fanno intendere quanto sia vero il titolo di un articolo di due politologi americani: The end of the Long America Century (La fine del lungo secolo americano). Lo studio, apparso sulla rivista Foreign Affairs, mette in rilievo come la politica dei “due vincitori” delle recenti elezioni, oggi acerrimi nemici, stia cancellando, piuttosto che rafforzare, un ordine internazionale che da un secolo era, di fatto, guidato dagli Usa.

Trump ha lanciato anatemi politici, economici e sociali a mezzo mondo e oggi, lontano dall’aver realizzato le sue promesse, che parevano essere realizzabili nel giro di poche ore, si trova scollegato dal resto del mondo. Invece di rendere l’America grande, la sta accompagnando sulla strada della debolezza estrema, perdendo, fra l’altro, anche la credibilità che pareva aver conquistato con la campagna elettorale spianatagli dall’uomo che oggi ha ripudiato.

Soprattutto, oggi non si può diventare – o ridiventare – grandi a scapito degli altri (Canada, Danimarca, Panama, Cina, Unione Europea e tutti i Paesi a cui sono stati imposti dazi, poi, negoziati o ritirati o … pochi sanno cosa). Il mondo oggi è sempre più terribilmente interdipendente e usare la forza, o urlare, è segno di debolezza, non di autorità morale. Gli analisti autori dello studio pubblicato da Foreign Affairs sostengono che oggi il potere si può esercitare con la coercizione, esigendo soldi e attirando, o pretendendo alleanze. Forse non sono molti ad averlo capito, ma si sta rischiando grosso.
Sono considerazioni nate leggendo la tesi di una studentessa musulmana sciita, di nazionalità americana, sulla veridicità come fondamento della morale e della spiritualità.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons