Pensando al mio amico Ahmed, le ragioni del mio SI al referendum sulla cittadinanza

Ahmed è un senegalese, che viveva con le vendite di accendini collanine e braccialetti, sorridente e affabile con tutti, ha ispirato fiducia e così un gruppo di amici si è organizzato per farlo uscire dalla clandestinità con un lavoro offerto dal gestore stesso del market dove si trovava. Assunto, ha dato buona prova di sé; in seguito ha potuto sposarsi, ora ha tre figli ed è un lavoratore esemplare. Amo sempre più i racconti di vita vissuta, specie sul tema delicato dell’immigrazione. La vita infatti, se animata, parla da sola e si fa strada per una convivenza meno ostile e più giusta. Prima di ogni discorso o parere, si deve far strada, se vogliamo guardare al futuro e non solo al passato e non solo a noi stessi, l’antidoto ad ogni veleno di pregiudizio o di paura, ovvero un tentativo di apertura del cuore e della mente, condizione per lo sbocciare di amicizie sempre possibili.
Circa 30 anni fa, non sopportando il calderone delle battute da bar, delle insofferenze di ogni diversità, degli attacchi violenti di chi parla senza sapere, senza mettersi in gioco, senza guardare con serietà e compassione gli altri, mi sono chiesto se avevo almeno un amico migrante giunto da noi e magari regolare e ben inserito. Alla risposta che non ne avevo neppure uno, trovandomi anche ad essere un consigliere comunale eletto, ma sotto la spinta decisiva dello sguardo aperto che veniva dalla mia formazione cristiana, cominciai a frequentare alcune loro comunità e assemblee. Passo dopo passo, mi raccontarono la loro storia e il loro desiderio di essere rappresentati pubblicamente in una Consulta per i migranti residenti e regolari. Il loro invito non passò inosservato e, pur tra molti ostacoli, ottenne il risultato di avere una Consulta senza spese per il Comune. In seguito, le amicizie si sono moltiplicate e mi stanno regalando fiducia e serenità. In questi giorni si è saputo dell’iniziativa della sindaca di Bergamo, che ha inteso concedere la cittadinanza onoraria agli studenti non italiani che hanno finito un ciclo di studi, scelta non sufficiente per lo Stato, ma molto importante per quei ragazzi accolti dall’ istituzione locale come cittadini in divenire e benvenuti, anche se manca l’ufficialità di un riconoscimento legislativo.
L’integrazione di chi vive e lavora nel nostro Paese genera infatti benefici sociali, economici e demografici non solo per i nuovi arrivati, ma anche per noi italiani nativi, che vediamo scarseggiare i giovani e il loro necessario ricambio generazionale, con l’Italia che si conferma uno dei Paesi più vecchi al mondo. Sono il 30 % le imprese a rischio sopravvivenza per mancanza di giovani, come ci dice l’ultimo rapporto Istat. Sono milioni i lavoratori stranieri ormai integrati, che ci chiedono un accorciamento degli anni per fare la domanda di cittadinanza italiana, come accade in molti Paesi europei e persino ancora negli Usa, dove sono già inseribili dopo cinque anni, se non prima, pensando poi che la domanda fatta a cinque anni di residenza qui da noi aspetterà altri due anni per avere una risposta. Ecco allora la possibilità di dare un messaggio nuovo, non ostile, non falsamente securitario, perché la vera sicurezza viene dall’integrazione. Tenerli sulla soglia di casa è un atteggiamento sbagliato e ingiusto, sempre che ci siano i normali requisiti di un certificato penale pulito e una conoscenza discreta della lingua italiana. Così appena Ahmed avrà la cittadinanza italiana, faremo festa insieme.
Per vedere tutti gli interventi del dibattito promosso da Città Nuova a proposito del Referendum sulla cittadinanza dell’8 e 9 giugno vedi il focus https://www.cittanuova.it/focus/dibattito-sul-referendum-cittadinanza/