Il referendum sulla cittadinanza e le ragioni della destra sul “No” e l’astensione

Una legge già adeguata e la volontà di evitare strumentalizzazioni sono alla base della scelta di non votare o votare no. Contributo al dibattito. Vedi focus con tutti gli articoli https://www.cittanuova.it/focus/dibattito-sul-referendum-cittadinanza/
Francesco Giubilei, Presidente Nazione Futura HUNGARY OUT

L’8 e il 9 giugno le urne saranno aperte per ben cinque quesiti referendari abrogativi, quattro riguardanti il lavoro e alcune implicazioni legate al Jobs Act e uno legato alle regole sull’acquisizione della cittadinanza, senza ombra di dubbio il più discusso e divisivo.

La modifica riguarda principalmente la legge del 1992 che regolamenta la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri.

Mentre i quattro quesiti sul lavoro sono stati promossi dal sindacato della CGIL, il quesito sulla cittadinanza è stato promosso dalle forze progressiste minoritarie dell’arco parlamentare e non, tra cui +Europa, Possibile, Partito Socialista italiano, i Radicali italiani e Rifondazione comunista. Sigle politiche sorrette nella campagna di raccolta firme da numerose associazioni ed enti del terzo settore.

La destra politica e l’attuale esecutivo si sono fin da subito distanziati dalla campagna di promozione del referendum, lasciando ai propri elettori una chiara indicazione verso l’astensione, in modo che il quorum non venga raggiunto.

Le polemiche che sono derivate dalle affermazioni di esponenti di primo piano del governo, su tutti Antonio Tajani e Ignazio La Russa («farò propaganda perché la gente se ne stia a casa») sono tuttavia strumentali e provengono dalla stessa sinistra (intellettuale e politica) che solo tre anni fa, nei referendum legati alla giustizia, diede anche indicazioni di voto per l’astensione (e lo stesso fecero giornali di ispirazione progressista come La Repubblica).

Anche in questa tornata elettorale si segnala la possibilità per gli studenti fuorisede di votare in un comune differente da quello di residenza e la stessa possibilità la avranno anche gli italiani all’estero, emblema di come non esista alcuna forma di “boicottaggio” dei quesiti in esame, ma solo posizioni legittimamente antitetiche.

Per la destra politica e culturale il quinto quesito della campagna referendaria è senza ombra di dubbio da bocciare, per numerosi aspetti che una narrazione progressista mainstream non tiene in considerazione.

Il primo è senza ombra di dubbio la già ottima legislazione in termini di acquisizione della cittadinanza nel caso italiano, compromesso che rispetta il trade-off tra sicurezza e integrazione sulla base di almeno 10 anni di permanenza ininterrotta nel Paese.

La legge 91 del 1992 stabilisce in maniera chiara quali siano i principi generali di acquisizione della cittadinanza che si dividono tra ius sanguinis (diritto di nascita del genitore se cittadini italiani) e la naturalizzazione, che prevede l’acquisizione della cittadinanza per uno straniero che risieda legalmente in Italia da almeno 10 anni, ininterrottamente, dimostrando di avere un impiego stabile (quindi una fonte di reddito garantita) e una conoscenza “adeguata” della lingua italiana.

Già con tale substrato e regolamentazione giuridica, il nostro Paese è assoluto primatista nella concessione della cittadinanza, svettando anche su Paesi che hanno fatto del multiculturalismo un connotato distintivo (Francia e Belgio per logiche post-coloniali soprattutto).

Secondo i dati raccolti tra il 2013 ed il 2024 dalla fondazione ISMU (Iniziative e Studi sulla Multietnicità), in numero assoluto, il 22% delle nuove cittadinanze concesse nell’Unione è stato appannaggio dell’Italia, seguita dalla Spagna (18%) e dalla Germania (17%).

La maggior parte di questi immigrati divenuti italiani va inoltre a rimpinguare fortemente le fasce più “deboli” della piramide demografica in pieno inverno demografico, ossia quella tra 0-19 anni (37%), smentendo la narrazione per cui l’Italia sarebbe un Paese arretrato in termini di accoglienza o integrazione.

La raccolta di tali dati, che copre anche l’arrivo a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni conferma come le politiche di destra siano ancorate al common sense e che, soprattutto su immigrazione e multiculturalismo, non siano offuscate da alcuna forma di messianismo.

L’Italia è quindi già primatista nella concessione delle cittadinanze ed in caso di passaggio del “Si” alle urne referendarie verrebbe abbassato da 10 a 5 il periodo di residenza obbligatoria e ininterrotta nel Paese prima di poter chiedere la cittadinanza.

Questo vantaggio temporale tenderebbe anche ad indebolire il valore dell’integrazione, che può essere tale solo con una permanenza adeguatamente prolungata a contatto con la cultura, la lingua e le tradizioni del posto e non certamente una “concessione” meramente rituale.

La posizione della destra sull’astensionismo è pienamente legittima, soprattutto perché la disaffezione dal voto e dalla politica non si combattono con quesiti assimilabili ad una vera e propria vendetta dei sindacati contro il Jobs Act renziano (da parte di Landini) per i primi quattro, e con la regolarizzazione di decine di migliaia di voti istantanei in più per le urne del 2027 (prima conseguenza politica in caso di passaggio del quinto quesito) a favore della sinistra.

L’Italia, a differenza di Paesi che a causa della massiccia immigrazione si sono riscoperti deboli e frammentati (su tutti Francia, Belgio e Germania), non ha ancora vissuto situazioni di degrado, instabilità, delinquenza e terrorismo come avvenuto nei casi dei vicini dell’eurozona, proprio per delle leggi che hanno permesso di regolarizzare e integrare gli stranieri con quesiti vincolanti ed un periodo di tempo necessario per capire e comprendere lingua e cultura del nostro Paese.

L’Italia si è inoltre distinta per un approccio volto a non fronteggiare mai i casi disperati delle “No-Entry Zone” e dei quartieri in mano a leggi e confessioni religiose estranee alla Repubblica.

La libertà di scelta legata alle urne in caso di quesiti referendari è inoltre già intrinsecamente legata ai quesiti stessi, poiché sono proprio i cittadini a valutarne l’importanza, scegliendo o meno di parteciparvi e aldilà di qualsiasi indicazione politica.

Molti degli aspetti che i quesiti referendari tendono a semplificare enormemente, come la questione cittadinanza, dovrebbero infatti essere materia d’esame tecnica e specifica del Parlamento e delle rispettive commissioni, e non possono essere lasciate alle pulsioni umorali di chi vede perfino nella concessione della cittadinanza uno strumento politico con cui porre fine alla propria emorragia di consensi e credibilità.

I precedenti degli ultimi decenni, su tutte quello delle opportunità perse sul nucleare, ne sono un esempio paradigmatico.

La destra si astiene al referendum per evitare il raggiungimento del quorum considerata la mobilitazione più marcata a sinistra, tra i promotori dei quesiti.

È una scelta legittima e che lo sarebbe stata anche a parti invertite e su quesiti differenti, perché la libertà di scelta si traduce anche nell’astensione, poiché anche l’inerzia genera conseguenze.

Non sarebbe la prima volta che un esecutivo si “mobilita” per l’astensione, con il precedente per eccellenza che si iscrive proprio nella tradizione progressista primo-repubblicana.

Nel 1991 Bettino Craxi invitò gli italiani “ad andare al mare” contro la proposta referendaria di Mariotto Segni (padre indiscusso di questo strumento democratico), che mirava a trasformare il sistema elettorale da proporzionale a maggioritario (attraverso la riduzione ad un solo nome da votare sulle schede elettorali). Tra corsi e ricorsi storici altri tempi e altre stature politiche.

La consapevolezza principale che invece resta nell’avvicinamento alle urne nel presente è che, in assenza di controproposte tali da scalfire lo strapotere della destra al governo, il mondo progressista si affidi ai quesiti referendari come strumento di consenso ed aggregazione.

Un errore fatale e che potrebbe certificare ancora una volta la profonda crisi in cui affonda la sinistra italiana.

Per vedere tutti gli interventi del dibattito promosso da Città Nuova a proposito del Referendum sulla cittadinanza dell’8 e 9 giugno vedi il focus https://www.cittanuova.it/focus/dibattito-sul-referendum-cittadinanza/ 

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