5 carcerati in Parlamento

Avvio di attività alle due Camere spagnole. La presenza inedita di alcuni politici catalani ancora in prigione.

Con una certa “normalità” è iniziata la XIII legislatura della giovane democrazia spagnola, cercando di schivare gli ostacoli giuridici e ideologici che l’attuale situazione politica presenta. La congiuntura è così nuova che c’è voluta una grande dose d’immaginazione e tolleranza. La prima puntata, però, si è conclusa con successo: mercoledì 22, la nuova presidente del Congresso dei deputati, Meritxell Batet, e il nuovo presidente del Senato, Manuel Cruz, entrambi catalani e socialisti dello Psoe, partito che ha vinto le elezioni generali, hanno potuto comunicare ufficialmente al re Felipe VI che le due Camere erano state costituite. Prossima puntata, ancora senza data, l’elezione del nuovo presidente del governo, per maggioranza assoluta o semplice, ma per ciò bisognerà aspettare i turni di consultazione con i capi dei diversi partiti, e soprattutto i risultati delle elezioni comunali, regionali ed europee di domenica prossima.

La novità di questa legislatura non poteva che girare intorno ai politici eletti che in questo momento sono in prigione preventiva e in processo giudiziario. Sono cinque: Raül Romeva, eletto per il Senato, e Oriol Junqueras, Josep Rull, Jordi Turull e Jordi Sánchez, eletti per il Congresso dei deputati. Come mai sono state elette cinque persone in carcere? Sì, perché mentre il processo è in corso (è iniziato a febbraio e non si sa quando finirà), i cinque sono accusati di aver commesso gravi crimini contro l’ordine legale, relativi agli avvenimenti indipendentisti in Catalogna, ma non ancora condannati. La novità, certo, destava una certa sospensione sull’andamento del protocollo per costituire le Camere legislative e, perché non dirlo, un’attrattiva morbosa per i media.

Sono durate due giorni, da lunedì 20, alle nove del mattino, fino a martedì 21 alle quattro del pomeriggio, le due sessioni per compiere i vari passi previsti per la costituzione delle camere. I cinque “politici carcerati” («prigionieri politici» li definiscono gli indipendentisti) avevano un permesso per raccogliere la documentazione che li accredita nella loro carica, ma col divieto di fare dichiarazioni davanti ai media. Ecco perché i giornalisti hanno fissato l’attenzione sui loro gesti, saluti, colori e segni, in attesa del momento in cui dovevano «giurare fedeltà» alla Costituzione.

La formula cui deve rispondere ogni deputato nel Congresso è semplice: «Giurate o promettete di rispettare la Costituzione?». Già in passate legislature si erano registrate risposte talvolta fantasiose, perciò il Tribunale costituzionale stabilì nel 1990 che non è adeguato aggiungere commenti al semplice «sì», ma possono essere ammesse aggiunte se queste «non condizionano o limitano» il rispetto alla Costituzione. Ed è su queste parole aggiunte che si sono concentrati gli sguardi di tutti. «Per impegno repubblicano» e «come prigioniero politico», ha detto Oriol Junqueras. «Per lealtà al mandato democratico del primo ottobre e al popolo della Catalogna», hanno invece risposto Josep Rull, Jordi Turull e Jordi Sànchez. Tutti sottolineando poi la formula «per imperativo legale», formula che nel 1989 fu inventata dai parlamentari baschi separatisti. La presidente della Camera, nonostante le proteste dell’area di destra, ha preferito fare finta di non udire. Urgeva costituire le Camere e posporre la polemica. Infatti ora, in attesa dei risultati delle elezioni di domenica, la decisione di “sospendere” o meno questi cinque carcerati eletti oscilla tra i magistrati del Tribunale supremo e i servizi giuridici del Congresso. Ma ci vuole un po’ di tempo… politico.

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